VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

28 giu 2015

Tra immigrazione, nomadi e coppie gay

Est modus in rebus

Oggi partiamo così, con un po’ di latinorum! Sono parole di Orazio, un poeta del I secolo a. C. C’è una misura nelle cose lui ricorda. Che, tradotto un po’ liberamente, potrebbe essere il troppo stroppia! Orazio, infatti, continua: «Vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi ciò che è giusto». (Per chi ama la nostra antica lingua madre: Est modus in rebus, sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum. Satire I,1,106-107).

 

Temi caldi stiamo affrontando in questo periodo. L’immigrazione, che cresce giorno dopo giorno accompagnata dalle nostre paure di essere invasi; la corruzione, che sembra non avere limiti, in chi vi naviga abitualmente, arrivando certuni perfino a sfruttare per i propri interessi situazioni di estremo bisogno; la difficile convivenza con i nomadi, italiani anch’essi, pur con storia e cultura differenti; il tema del riconoscimento civile delle coppie omoaffettive; la crisi delle famiglie; la denatalità.

 

Temi caldi, dicevo, che stanno tirando fuori il peggio in alcuni di noi. Forse in troppi. Primi fra tutti certi uomini pubblici, della politica, del giornalismo. Perfino della chiesa. Dal radere al suolo i campi nomadi, all’affondare i barconi dei profughi con le persone a bordo, alla sconfitta per l’umanità come giudizio tranchant di fronte al referendum irlandese sul matrimonio delle coppie omoaffettive. Solo per citare e ricordare alcune tra le ultime uscite di personaggi che, proprio perché pubblici, dovrebbero mostrare un equilibrio di giudizio e uno stile nel linguaggio del tutto differenti dalle battute da bar.

Entreremo, nei prossimi nostri incontri, su alcuni di questi temi. In modo particolare vedremo di riflettere sulla questione del cosiddetto gender e sul tema del riconoscimento civile delle coppie omoaffettive. Prima di entrarvi, però, vorrei oggi ragionare con voi, su come possiamo affrontare questi temi. Guidati da quelle parole di equilibrio che ci regala Orazio.

 

Riascoltiamole: «C’è una misura nelle cose. Vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto». Se vogliamo davvero costruire ciò che è giusto (= rectum) nella società, una convivenza cioè che sia civile e rispettosa di ogni essere umano, io tradurrei le sue parole con tre pensieri.

 

Il primo. È necessario che impariamo a confrontarci sulle idee che guidano le nostre convinzioni e non sugli slogan. Nessuno di noi, sufficientemente sano di mente, può pensare di possedere la verità e tutta la verità. In una società civile v’è bisogno dell’apporto di tutti. Mi ha fatto piacere ritrovare sul nostro settimanale le parole di Francesco per la giornata delle Comunicazioni Sociali: «Le nostre vite sono intrecciate in una trama unitaria: le voci sono molteplici e ciascuna è insostituibile». Ma le voci che costruiscono sono quelle che sanno esprimere i propri pensieri e sanno ascoltare i pensieri degli altri. Anche quando questi non coincidono con i nostri. Convinti  proprio che ciascuna voce è insostituibile.

 

Il secondo pensiero riguarda il modo con cui ci esprimiamo. Prese di posizione espresse con violenza e con giudizi tranchant sulle opinioni altrui non favoriscono il dialogo né la ricerca di ciò che è giusto. Prima di tutto perché i giudizi sui pensieri degli altri diventano facilmente giudizi sugli altri. Cioè giudizi sulle persone. E quando dall’altro mi arriva un giudizio su di me, e non sulle mie idee, mi è naturale chiudere ogni forma d’incontro. Lo facciamo senza neanche pensarci troppo: sentiamo che ne va della nostra sopravvivenza. Cioè della sopravvivenza di un’immagine di noi degna di essere guardata e rispettata.

Poi perché urla e violenza richiamano soltanto urla e violenza. La storia ce l’insegna. Le guerre non portano la pace. Né le crociate portano la libertà. Di fronte a prese di posizione estreme e totalizzanti di una parte, gli altri non possono che rispondere con prese di posizione altrettanto estreme e totalizzanti. Se la mia rigidità non riconosce niente all’altro, l’altro risponderà volendo prendersi tutto. Tutto o niente: è il tipico pensiero dei bambini che ritorna con tutta la sua forza.

 

Il terzo pensiero è che di fronte a temi complessi rischiamo di fare di ogni erba un fascio. Rischio molto pericoloso e subdolo. È necessario guardare ciascun problema con l’attenzione che merita. Confondere i vari temi e i diversi aspetti, come sta succedendo anche a qualche collaboratore di Voce, significa con-fonderli, cioè fonderli insieme. Ma a questo punto non si capirà più niente. Perché si passa dall’uno altro senza neanche accorgersi. Nessuno di noi accetterebbe di guardare le proprie cose saltando di palo in frasca. Se vogliamo affrontare un problema siamo i primi a dirci: guardiamone uno alla volta.

È quanto cercheremo di fare nelle prossime settimane. O, almeno, ci proveremo!