VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

1 feb 2015

1 gennaio. Giornata mondiale della pace

Donne e uomini... in pace!

Dal 1968 il primo giorno di ogni anno è illuminato dalla parola PACE. Quest’anno, per la verità, le cronache ce l’hanno messa tutta per offuscarne la luce. Ma noi non ci diamo per vinti. Perché le tenebre – ce lo ricorda anche la fisica – non esistono: esse altro non sono che mancanza di luce. E dal momento che ogni anno, di questa parola, siamo invitati a sfogliare una pagina, proviamo a leggere, ora, quella di quest’anno. Vi troviamo: Non più schiavi, ma fratelli.

Scrive Francesco: «Nel mondo, molteplici sono gli abominevoli volti della schiavitù: (...) lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la mentalità schiavista nei confronti delle donne e dei bambini».

 

È proprio a questa mentalità schiavista che vorrei guardare con voi. E lo facciamo entrando nella vita delle nostre famiglie. Tra uomini e donne. Diverse volte abbiamo provato a rifletterci insieme, spinti da circostanze tristi, da fatti di cronaca dolorosa. Oggi lo facciamo prendendo in prestito parole particolari. Che dànno tristezza. Che mostrano il limite della mente umana. Anche quando questa, in altre aree, sa risplendere di luce straordinaria.

 

Siamo nel 1914. Entriamo in una casa importante e vi troviamo, proprio di questi giorni, un accordo che lega insieme un uomo e una donna, marito e moglie. Lui le scrive:

Devi garantire che i miei abiti e la biancheria siano sempre in ordine; che io riceva regolarmente i miei tre pasti nella mia stanza; che la mia camera da letto e il mio studio siano puliti, e soprattutto che la mia scrivania sia soltanto a mia disposizione.

Devi rinunciare a ogni relazione personale con me, a meno che non sia proprio necessario per ragioni sociali; dovrai evitare di sedere in casa vicino a me, e uscire o viaggiare con me.

Nel nostro rapporto devi osservare i seguenti punti: non aspettarti alcuna intimità da parte mia, né devi biasimarmi in alcun modo; devi smettere di parlare con me se te lo dico; quando te lo chiedo devi lasciare la mia camera e il mio studio immediatamente, senza protestare.

E non devi sminuirmi di fronte ai figli né con parole né con il tuo comportamento.

 

Queste sono le condizioni che un uomo impone a sua moglie. Resteranno insieme cinque anni ancora, per il bene dei figli. Poi divorzieranno e lui sposerà una sua cugina.

Vi chiederete chi fossero questi poveracci. Soprattutto chi fosse lui, un uomo così ottuso e prepotente. Era il padre della Teoria della relatività e Premio Nobel per la fisica. Albert Einstein. E lei è sua moglie, Mileva Maric. Anche lei una scienziata, ma che deve rinunciare agli studi e alla carriera per prendersi cura dei figli e permettere al marito di proseguire la sua. Gli era così devota che, giocando con il nome, diceva che loro due, insieme, erano ein stein (in tedesco: una pietra). Ma questa pietra non ha potuto reggere alle prepotenze di lui. Genio in campo scientifico, ma un grande-pover’uomo sul piano umano.

 

La sopraffazione degli uomini sulle donne è atavica. Antica. Consolidata nel tempo, al punto che perfino tante tradizioni religiose sono state costruite a misura e a protezione di questo pensiero.

Un po’ di giorni fa, in TV, ci è stato riproposto un passo del Talmud, questa grande raccolta di riflessioni e insegnamenti sulla Bibbia dell’antica tradizione ebraica:

State molto attenti a non far piangere una donna: Dio conta le sue lacrime! La donna è uscita dalla costola dell’uomo. Non dai suoi piedi perché debba essere pestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale... un po’ più in basso del braccio per essere protetta, e dal lato del cuore per essere amata.

Belle queste parole. Ma se le ascoltiamo bene bene, sotto la superficie che invita a trattarla con rispetto e amore, vi troviamo il solito vecchio pensiero: la donna non è sullo stesso piano dell’uomo. Lui deve trattarla bene, sì. Ma i due non sono alla pari: lui le è superiore.

Eppure proprio nelle prime pagine della Bibbia, nel mito delle origini, troviamo scritto che quando il Creatore fece l’essere umano, «lo creò a propria immagine, maschio e femmina li creò» (Genesi 1,27). Parole chiare, che non ammettono nessuna gerarchia né subordinazione tra i due. Che insieme realizzano il progetto di Dio. In loro infatti, maschio-e-femmina, il Creatore vede riflessa la propria immagine.

 

Ma gli uomini (maschi) una gerarchia l’hanno fatta subito. Anche i più aperti, come quei saggi del Talmud. O gli uomini (maschi) della nostra comunità-chiesa. Che sul piano dottrinale affermano con forza la «pari dignità di tutti gli esseri umani», escludendo cioè ogni gerarchia o subordinazione. Ma nella prassi... quanta fatica facciamo ancora a riconoscere che, se la dottrina e le affermazioni di principio sono forti e chiare, la pratica e la concretezza hanno ancora tanta strada da fare.

La strada per una PACE piena. Tra gli uomini e le donne: fondamento della pace nel mondo. Questa è la mia convinzione. Questo il mio augurio.