VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

15 feb 2015

Quando la religione può soffocare la fede

Credere e pensare... (2)

Credere significa fidarsi. Così c’eravamo lasciati la settimana scorsa. Fidarsi della Vita, affidarsi alla Vita. Fidarsi significa avere fiducia. Parola che in latino è fides. Che in italiano traduciamo anche con fede.

Ed è con questa parola che, molto velocemente e un po’ superficialmente, andiamo a definire e distinguere i credenti e i non credenti. Dei primi diciamo che ‘hanno la fede’, degli altri che ‘non hanno la fede’. Linguaggio piuttosto elementare, e pericoloso: sembra come parlare di qualcosa che si possa trovare al mercato... Il passaggio successivo che poi andiamo a fare, a proposito di fede o di credenti, è la definizione di un’appartenenza: adesione e appartenenza ad una religione. Così definiamo credente colui che aderisce ad una religione e non credente colui che non vi aderisce, non vi appartiene. Intendendo per religione una sorta di ‘organizzazione’ che propone un insieme di verità (dogmi) e di regole, oltre che di riti e di tradizioni.

 

Nel mondo tantissime sono le religioni che nel tempo sono nate e si sono strutturate. Buddismo, Induismo, Confucianesimo, Ebraismo, Shintoismo, Animismo, Cristianesimo, Islam... ciascuna di queste poi con le sue divisioni interne: così troviamo cattolici, ortodossi, protestanti (con le innumerevoli ulteriori suddivisioni) tra i cristiani; sunniti e shiiti tra i musulmani, ecc. Perfino alla parola religione attribuiamo origini diverse. Per alcuni essa nasce dal latino re-legěre (re intensivo + guardare = guardare con attenzione, avere riguardo). Per altri da re-ligàre (re + ligare = unire insieme con forza). E altro ancora...

Anche soltanto questi aspetti, le tante religioni e le tante forme e significati della parola stessa, ci chiedono di guardare con attenzione alla ricchezza e complessità del fenomeno religioso.

 

L’attualità poi e, insieme, la storia ci portano a considerare un altro aspetto della religione e del rapporto tra religione e fede. Perché se fede significa fiducia, affidamento, religione rischia di diventare qualcosa che porta con sé una possibile ambivalenza.

Quando con essa indichiamo il legame con la Vita-Dio, nella religione troviamo una fonte di luce, un alimento per la dimensione spirituale, sia per l’individuo sia per le comunità. Quando invece il legame che prevale è l’adesione incondizionata e acritica a verità, dogmi, regole e tradizioni, o addirittura l’accettazione passiva di norme, direttive e ordini che provengono da autorità costituite, la religione può diventare fonte di pericolo. Per i singoli individui, per la società, perfino per le civiltà. Perfino, direi ancora, per la Vita stessa.

Succede così che qualcosa che nasce come fonte di spiritualità e via preziosa per sentirsi connessi più consapevolmente con la Vita, può giungere perfino a contraddire se stessa. A diventare il suo contrario.

 

Qualche esempio, per comprendere meglio.

Oggi parlano di sharia, qualche secolo fa parlavamo di inquisizione; oggi parlano di guerra santa per la conversione degli infedeli, noi parlavamo di crociate per la liberazione dei luoghi santi dagli infedeli. Il tutto sempre in nome di Dio. Dio lo vuole! era ed è lo slogan, a guida e giustificazione perfino dei crimini più efferati.

Ovviamente non possiamo paragonare pari pari, quindi giudicare allo stesso modo, comportamenti e fenomeni appartenenti a epoche storiche lontane tra loro. L’inquisizione della chiesa cattolica, con la tortura e i roghi per gli eretici, appartiene al medio evo, mentre di sharia si continua a parlare in pieno XXI secolo. Le crociate le abbiamo vissute nell’XI e XII secolo, Stati che pretendono di fondarsi sulla religione vogliono imporsi ai giorni nostri.

 

Attenzione quindi a non equiparare movimenti ed epoche tanto lontani nel tempo. Attenzione, però, anche a tenere gli occhi ben aperti e, soprattutto, vigile la nostra mente. Al punto che, ritengo, dovremmo arrivare a cogliere e coltivare una nuova distinzione. Non tanto tra credenti e non-credenti. Perché tutti, dicevamo, siamo credenti. Nel senso che tutti crediamo nella Vita e ad essa ci affidiamo, giorno dopo giorno.

La distinzione più vera, e più utile, che dovremmo fare è tra chi pensa e chi non pensa. Cioè tra chi usa la propria testa per ragionare e riflettere anche aderendo ad una religione e riconoscendosi in essa, e chi invece, in maniera passiva e acritica, segue disposizioni e regole date da altri, soprattutto quando questi pretendono di imporle, addirittura, in nome di Dio.

 

Il Dio lo vuole è scritto nel cuore dell’uomo. Gesù di Nazareth insegnava che Dio, Padre-e-Madre, lo possiamo incontrare nel silenzio del cuore. Perché è lì che abita, in Spirito e Verità.