VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

27 dic 2015

Una festa difficile da comprendere e fare nostra

Buon Natale!

Sì, credo proprio che il Natale sia troppo difficile per le nostre menti. E per i nostri cuori. Immersi, entrambi, nel limite dell’umano. Proprio la settimana scorsa riflettevamo sulla difficoltà di accettare i nostri limiti, e di viverli con serenità e in pace. Sappiamo quanto sia difficile imparare questa lezione. Perché quanto più siamo nel limite, tanto più ci ribelliamo ad esso. Lo rifiutiamo. Peggio, lo neghiamo. Così la mente s’irrigidisce e il pensiero diventa esigente e assoluto. E cadiamo nella trappola o-bianco-o-nero. O bene o male. O tutto o niente. Non sfumature né varietà. Non ricchezze né complessità. In una parola: non evoluzione ma rigidità.

 

Così ragioniamo. E così guardiamo il mondo. E così diventiamo esigenti, nei nostri princìpi e nelle nostre verità. Che facciamo diventare assoluti e non negoziabili. Non negoziabili. Quante volte ce lo siamo sentiti ripetere in questi nostri tempi.

 

Perché questi pensieri a Natale?

Natale per noi cristiani è la nascita di Gesù di Nazareth. Di quest’uomo che è il Dio-con-noi. Che, con una parola della lingua ebraica, chiamiamo anche Emmanuele (im = con, nu = noi, El = Dio). Dio in mezzo a noi. Dio, uno di noi.

 

Allora mi chiedo: ma Dio ha anch’egli un pensiero da verità e princìpi non negoziabili?

La realtà dell’incarnazione – con questa parola descriviamo la nascita dell’Uomo-Dio Gesù – parla di immersione nell’umano. Nella carne. Parola che nella lingua e nella cultura ebraica indica l’umanità nella sua concretezza. Nel suo limite. L’incarnazione di Dio ci dice che Lui entra nel nostro limite e ne partecipa appieno.

 

Questo credo sia il grande insegnamento, la grande lezione di Natale. La lezione che ci porta questo Maestro straordinario. Un uomo che intorno ai trent’anni lascia il proprio maestro, Giovanni il Battista, profeta grande, ma con un pensiero ancora piccolo, prigioniero delle rigidità della sua epoca, della sua cultura. E della sua religione. Maestro di Gesù prima, quando poi questi inizia a portare la sua Buona Notizia (Vangelo: eu = buono, ànghelos = notizia), egli stesso fatica a riconoscerlo. Sia Matteo sia Luca ci riferiscono del disorientamento di Giovanni di fronte all’insegnamento e al comportamento di Gesù, tanto che a un certo punto gli manda alcuni discepoli a chiedergli esplicitamente: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Matteo 11,3 e Luca 7,19). Niente di strano che perfino il suo vecchio maestro fatichi a riconoscerlo: è troppa la libertà di pensiero che Gesù sta portando e veramente grande la sua scelta di stare con i devianti della società, i ripudiati, i rifiutati. Gli emarginati dagli uomini di potere: sacerdoti, teologi, governanti, uomini di cultura. Gente perbene. Ligi a tutti i precetti, rispettosi di tutte le tradizioni, rigorosamente fedeli ai princìpi non negoziabili.

Ma non fedeli all’uomo.

 

Non sarà facile la vita per questo Maestro che esce dagli schemi. Perfino i suoi parenti sono disorientati. E preoccupati. Per lui le leggi, le tradizioni, le regole sono fatte per servire agli uomini e non viceversa. Non si possono sacrificare gli uomini alle regole. Da qualunque autorità esse vengano. Figli di Dio sono gli uomini, non le léggi.

 

Ma che Lui ragionasse così non c’era d’aspettarselo in fondo? Un Dio che entra nella storia facendosi uomo in tutto e per tutto. Un Dio che non aspetta che la civiltà sia ordinata e pulita, libera da contrasti e da contraddizioni per entrarci e farne parte, è uno che non può che accogliere il nostro limite. E accogliere noi con esso.

Mi chiedo a volte perché non ha aspettato che l’umanità fosse un po’ più progredita. Nasce in una periferia della storia, in un paese governato da un esercito straniero. In una famiglia come milioni di altre. Senza niente di speciale. Semplice, senza tanta cultura, senza neanche un briciolo di nobiltà: non sappiamo neanche se i suoi sapevano leggere e scrivere. È arrivato in un’epoca in cui era legge solo la legge del più forte. Perfino più di quanto non lo sia adesso.

Ma Lui è così. E credo che proprio questo sia il suo grande insegnamento. Ce l’ha detto senza troppe parole. Agendo. Entrando in una storia piena di contraddizioni. Accogliendo il limite come normalità.

Non è tutto questo ciò che chiamiamo incarnazione?

 

A me sembra che noi cristiani, discepoli di questo Maestro straordinario, divisi in mille chiese e chiesuole, ciascuna con la pretesa di avere la verità, abbiamo bisogno di ascoltare questa lezione: non mettiamo le dottrine prima degli uomini. Non partiamo da queste per incontrare l’umanità. Partiamo da noi stessi, dalle nostre contraddizioni e dai nostri limiti. La verità di cui il Natale ci parla è una sola: Gesù di Nazareth è fratello tra fratelli. Figli tutti dello stesso Padre-e-Madre.

 

Buon Natale!