VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

21 dic 2014

Natale, tra cielo e terra

Pensieri confusi abitano la mia mente questi giorni. Pensieri che faticano a strecciarsi. Inseparabili. Come la mente e il corpo, l’anima e la mente, la nascita e la morte. Realtà così inscindibili che rimane impossibile guardare l’una senza sentire anche l’altra. Come il cielo e la terra.

Natale è proprio uno di quei giorni in cui la gioia e la tristezza si tengono per mano. Come due amanti che non sanno e non vogliono separarsi.

 

È il dies natalis (= il giorno della nascita) di uno strano personaggio.

Un uomo che di sé dice di essere Figlio di Dio e nello stesso tempo Figlio dell’uomo. Un uomo che dispone di dodici legioni di angeli pronte a difenderlo, ma muore come uno schiavo su uno dei più atroci strumenti di tortura che la mente umana abbia saputo inventare. Si dice Re, e nei tempi della gloria di Roma va a nascere in un insignificante paesino di provincia che non è neppure libero, ma dominato, ormai da tempo, da un esercito straniero. Si presenta come il Messia, l’uomo atteso da secoli dal suo popolo per ritrovare l’antica potenza, e dice di essere venuto a servire piuttosto che ad essere servito.

Un vero segno di contraddizione, come aveva intuito quel vecchio saggio che l’ha incontrato bambino nel tempio a Gerusalemme. E nella contraddizione, mai sciolta, ha continuato a vivere nel corso della sua breve vita.

 

Contraddizione non sciolta, per la verità, neppure da coloro che in séguito l’hanno riconosciuto come inviato dal Dio creatore – che lui continuava a chiamare semplicemente Padre. Anzi, i suoi, quando ormai potevano scegliere se ascoltare o meno le sue parole visto non era più lì, in carne ed ossa, perché dalla terra se n’era tornato al cielo, i suoi, dicevo, pian piano hanno dimenticato le sue parole, che sapevano di libertà, e l’hanno rinchiuso dentro schemi logici e strutture organizzative. Più gestibili e più facilmente controllabili.

 

Chi avrebbe potuto continuare a vivere con quel respiro di libertà che Lui aveva osato portare dal cielo alla terra?

Le sue parole sapevano di spirito e di luce. Per incontrare il Padre non aveva bisogno di andare al Tempio, il luogo dell’istituzione e della religione codificata. Il luogo delle 613 regole che, nel tempo, gli uomini della religione avevano sovrapposto alle dieci parole del Creatore. Offuscandole al punto che gli uomini, figli di Dio, anziché davanti a un Padre, si trovavano di fronte a un Padrone, severo ed esigente, al quale bisognava offrire sacrifici di espiazione per tenerselo buono.

Con l’autorevolezza di un uomo libero aveva osato criticare i custodi della religione, che mettevano sulle spalle delle donne e degli uomini regole e pesi che essi non alzavano neppure con un dito.

 

In diverse occasioni si era permesso di dichiarare priva di senso la domanda su dove si dovesse andare per pregare Dio. Perché il vero incontro può essere solo in Spirito e Verità. Perché Lui e il Padre abitano il cuore delle donne e degli uomini, come l’Amore di una madre e di un padre prendono vita nel cuore dei figli.

Ma noi continuiamo a litigare, a ucciderci perfino, perché... la nostra terra è più santa di tutte le altre, perché il nostro libro è il più sacro di tutti, perché la nostra religione è la più vera e la più giusta. Cristiani, musulmani, ebrei, induisti, buddisti, e le mille altre divisioni che coltiviamo, proprio in nome di una religione (= in nome di Dio) continuiamo a calpestare altri esseri umani. Come se il Dio che vogliamo difendere, Madre-e-Padre di tutte le creature, potesse appartenere a una religione ed essere rinchiuso nei suoi dogmi.

 

Sembra così lontano il tempo di quel Gesù di cui festeggiamo la nascita, e sembrano così lontane le sue parole. Anch’esse appesantite e inquinate da regole e tradizioni, proprio come avevano fatto i custodi della religione di allora con le dieci parole del Padre. Dottrine e princìpi ‘non negoziabili’ riempiono i nostri pensieri e tracimano dai nostri discorsi. Presi più dal dover custodire verità codificate, che attenti ai bisogni di chi si ritrova immerso nelle difficoltà e nelle contraddizioni del quotidiano.

 

A Natale è di prassi volerci bene.

Proviamo a fare in modo che non sia come il velo di zucchero con cui ricopriamo il nostro pandoro. O, peggio ancora, che non sia come quella farsa di perbenismo con cui si presentavano certi autorevoli religiosi del suo tempo che Lui paragonava a sepolcri imbiancati.

 

Fra i tanti regali di questi giorni, perché non scambiarci anche una parola di conforto e di solidarietà? Togliamo acqua e concime ai semi di rancore che abitano, nascosti, il nostro cuore. E regaliamo una carezza che sappia consolare un bambino, perfino a Natale diviso tra la casa del babbo e quella della mamma, incapaci ormai di sorridere insieme.

 

E Lui, che abita i cieli, porti semi di pace e di luce su questa nostra terra triste e sofferente.

Buon Natale!