VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

16 mar 2014

Nascere, morire. Rinascere?

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Molti vedono il tempo presente inserito in un ciclo vitale, come una tappa di un viaggio assai più lungo e ricco. L’anima (lo spirito, il principio vitale – entrare ora in una discussione sui nomi sarebbe fuorviante) percorre strade che intersecano il tempo, così come lo conosciamo, in una sorta di cicli che s’inanellano l’uno nell’altro. E in questo cammino lei progredisce fino a giungere alla sua maturazione. Alla pienezza della Vita. Alcune anime poi, una volta raggiunta la mèta, non si fermano nella beatitudine della pace, ma ritornano tra noi per aiutarci nel nostro cammino. Li chiamano maestri, guide. Guru. Parlano di anime più evolute. Di esseri di Luce.

 

Perché no? Mi dico. In fondo le religioni che l’umanità ha costruito nei millenni non sono tutte un dono del Creatore? Non può Lui, Padre-e-Madre dei viventi, donare a ciascun popolo di cogliere come ‘una parte’ di quella Verità che è Lui stesso? Invitandoci magari a mettere in comune tutti questi frammenti, quasi un puzzle che solo alla fine, nella pienezza del tempo, rivelerà la pienezza della Luce.

 

Nessun timore: per la nostra mente questi pensieri sono come un tentativo per trovare risposte a domande che abitano nel profondo del cuore umano. Nella tradizione cristiana noi diciamo che con la morte la vita non cessa di esistere, ma si trasforma. Mi piace questa parola. In fondo, con strumenti e linguaggi diversi non è questo che ci dice la fisica moderna? Energia e materia non sono che modalità diverse in cui la realtà si presenta. E l’una e l’altra sono in una relazione dinamica di continua trasformazione, al punto che quando entriamo nell’infinitamente piccolo, non siamo più in grado di differenziare, con gli strumenti di cui disponiamo al presente, tra energia (onde) e materia (particelle).

 

Ma torniamo a noi. A noi, immersi nell’attuale dimensione di tempo e spazio. In questa ‘esperienza’ di vita che ci lascia con tanti interrogativi aperti quando ci troviamo di fronte alla morte. E di conseguenza alla vita stessa. E alla domanda che le accompagna: e la vita dopo la morte?

 

Per ascoltare davvero questa domanda io credo che abbiamo bisogno di tenere l’animo aperto alla dimensione di mistero. Perché è proprio in questa dimensione che la domanda sulla morte (e sulla vita) ci invita ad entrare.

È vero, mistero è una parola inflazionata: la usiamo a proposito di cose o di fatti in cui non riusciamo a vedere chiaro. Ma non è qui il suo significato. Mistero ci parla di segreto. Di silenzio. La parola greca mystèrion nasce dal verbo mýo che significa sono chiuso o anche sto quieto, silenzioso. Dire che alla morte-e-vita non possiamo non guardare se non in questa dimensione di mistero e di silenzio, significa avvicinarci ad essa con grande cura. Con vero rispetto. Con il desiderio di ascoltare ciò che essa dice nel profondo di noi stessi. La stessa psicologia ci parla del tempo della vita come di un tempo di crescita. Ma oltre non sa andare.

 

Qui è alto il rischio di aggrapparci a ‘dottrine’ che vengono da fuori. Come se in esse potessimo trovare risposte che ci liberino dal bisogno di portare avanti la nostra ricerca. Inevitabilmente personale. Che ci liberino dalla necessità di percorrere la strada sulla quale ciascuno di noi sa che deve camminare se vuole incontrare la propria anima.

Le religioni ci offrono sistemi di pensiero che possono aiutare in questo viaggio. Ma possono anche diventare ostacolo. Costrizione. E lo sono ogni volta che attraverso l’adesione a una dottrina dovessimo ingessare le nostre domande. Chiuderle. Come fossero pensieri non buoni, non utili per cogliere il senso della vita: quella di oggi e quella che chiamiamo vita dopo la morte.

 

Dicevamo sopra di quell’intuizione che vede nel presente una fase della vita. Un tempo che la nostra anima percorre nel suo cammino di crescita e di perfezionamento che va oltre il limite della vita attuale. Possiamo allora pensare che quella di adesso è solo una delle tante ‘vite’ che trascorriamo sulla terra? O, meglio ancora, che essa è solo una parte di quel cammino di vita già iniziato da tempo e che, passo dopo passo, ci porterà verso la pienezza della Luce – che, come credenti, possiamo chiamare Dio?

 

Se questi pensieri ci aiutano a non sprecare il presente e a coglierne maggiormente il senso, se ci aiutano a vedere che siamo inseriti in un processo di crescita spirituale, perché non coltivarli? Perché non prenderli come una buona guida per non perderci lungo la strada?

Se poi, invece, questo pensiero dovesse portare turbamento, inquietudine… lasciamolo riposare. Come un seme. Se il nostro cuore ha il terreno per accoglierlo, bene. Se invece lui ha bisogno di semi diversi, ricerchiamoli. E una volta trovati, prendiamocene cura.