VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

28 set 2014

Mammi...?

Da qualche mese fa il mammo a tempo pieno. Così sentenziava qualche giorno fa un grande quotidiano a proposito del marito di uno dei nostri ministri-donna. Volendo parlare, in questo modo e con quest’orribile vocabolo, di un uomo che si prende cura dei propri figli. Niente di originale, in realtà: è da un po’ di tempo che questa parola gira nella stampa e nel linguaggio quotidiano.

 

Mammo. Proviamo a cogliere tutta l’originalità (!) e la profondità (!) di questa parola. Perché i due punti esclamativi? Stanno a dire che di originale e di profondo questa parola non ha proprio niente. Anzi. Essa rivela un pensiero e una mentalità vecchi e retrivi. Un modo di pensare, tuttavia, ancora piuttosto diffuso. E non solo tra le vecchie generazioni, ma anche tra i più giovani. Moderni e tecnologici. Anche se, per rispetto alla verità, dobbiamo dire che qualcosa sta cambiando.

 

Come si vede bene, la parola mammo altro non è che il maschile di mamma. Perché l’abbiamo inventata?

Due pensieri a me sembra che stanno alla base di una parola tanto brutta.

 

Il primo. Prendersi cura dei figli è compito della mamma. Meglio: prendersi cura dei figli è compito soltanto della mamma.

In realtà dovremmo ampliare lo sguardo e riconoscere che il prendersi cura è un compito che la nostra società affida (quasi) esclusivamente alla donna. Prendersi cura di un malato in famiglia è lei a doverlo fare; così con gli anziani. Nella coppia è lei che deve prendersi cura del marito. Anche la casa, con tutto ciò che richiede la vita di ogni giorno, è sulle spalle di lei. Lui, tuttalpiù, cambierà una lampadina quando non funziona o attacca un chiodo per appendere un quadro. Lavatrice, lavastoviglie, forno, cucina, frigo, letto da rifare, panni da sistemare, armadi, pulizie, spesa e tanto altro non sono (quasi) sempre e soltanto affidati a lei?

Così è anche per i figli. Lui lavora, si dice. E lei? Oggi la maggior parte delle donne svolgono anch’esse un lavoro fuori casa. Eppure la sera, quando tornano, si ritrovano con la casa che le aspetta. Tutta la casa le aspetta. Compresi i figli. I compiti, il pediatra, gli insegnati, la babysitter, metterli a letto, svegliarli, vestirli, la colazione e... tutto il resto. Perché deve fare tutto lei? Che domanda, perché lei è una donna, e lui è... stanco!

 

E qui arriva il secondo pensiero. Il babbo, quest’uomo che appartiene al sesso forte, è incapace di accudire ai figli, di prendersi cura di loro. Non solo, quando lo fa – cosa che comincia ad essere un po’ più frequente nelle giovani coppie – arriva questa profonda e originale parola: mammo. Per dire, così, che un uomo che si prende cura dei figli sta svolgendo un lavoro che non sarebbe proprio suo. Anzi, che suo non lo è affatto. Tanto che lo andiamo a definire come una sorta di brutta copia della mamma. Una mamma al maschile: un MAMMO appunto.

 

Beh, non c’è che dire, abbiamo un sacco di fantasia, no!?

 

È vero, i sessantenni di oggi – i nonni – sono cresciuti in famiglie con confini molto rigidi e netti tra i compiti di una madre e di quelli di un padre. I nostri padri erano occupatissimi nel lavoro fuori casa, magari anche nel doppio lavoro quando riuscivano a trovarne uno, tanto erano difficili i tempi del dopo guerra che li avevano accompagnati nella loro giovinezza. E noi abbiamo imparato da loro che compito di un padre è lavorare e portare a casa i soldi per la famiglia. Fatto questo, un uomo è a posto.

I trentenni di oggi stanno cambiando e provano a condividere un po’ di più la casa e tutto quanto essa porta con sé. Compresi i figli. Oggi una giovane donna che non svolga un lavoro fuori casa comincia ad essere un’eccezione. Anche questo, certo, contribuisce a scoprire la necessità di con-dividere la cura della famiglia.

 

Tutto ciò è bello. Anche giusto, direi. E non solo per una condivisione della fatica. È bello e giusto per una buona relazione di coppia. Bello e giusto per i figli. Che, finalmente, possono scoprire che c’è un BABBO nella loro vita. Un uomo che si prende cura di loro, che sa condividerci del tempo, che sa giocare, aiutarli nei compiti, tenerli in braccio e lasciarsi abbracciare. Con affetto. Con tenerezza. Proprio come un babbo. Che sa stare accanto alla mamma, convinto che non le sta rubando niente. Anzi, che sta portando nella loro casa quell’energia maschile che solo un uomo può mettere in campo. Accanto al femminile che le mamme non fanno e non faranno mai mancare.

 

Babbi, allora, e non mammi – buttiamola questa parola! Perché è di un babbo che hanno bisogno i nostri figli. E le nostre famiglie.