VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

13 apr 2014

L'età dell'anima o l'intelligenza del cuore

Il dialogo più difficile da ascoltare credo sia quello che intessono la vita e la morte. Giorno dopo giorno. In un incontro, tra vicinanze e lontananze, spesso incomprensibile alla nostra mente. Nicolas che a sei anni muore dopo una malattia che l’ha consumato in pochi mesi, accanto a Giuliana che nei suoi quasi novant’anni, assente a se stessa e ai suoi, continua una vita cui rimane difficile attribuire un senso, ci lasciano senza parole.

Quando ci fermiamo a pensare al ciclo vitale di una persona, l’immaginiamo in un processo evolutivo che vede tante tappe. Fasi diverse che pian piano fanno crescere l’individuo attraverso esperienze e momenti che ne riempiono gli anni. Infanzia, adolescenza, giovinezza. Poi gli anni della maturità, fino alla pensione, alla vecchiaia. Poi, in ultimo, con un po’ di coraggio, guardiamo anche alla morte: anch’essa come una tappa che ci appartiene.

Ma questa, la morte, non gioca sempre a carte scoperte. Anzi, a volte le direi proprio truccate. E questo non mi piace. Soprattutto quando non rispetta i tempi. Quei tempi che una normalità di vita ci fa vedere normali.

 

Sempre, credo, è apparso inaccettabile questo gioco della morte che travalica il tempo. In uno scritto di oltre duemila anni fa troviamo queste parole: «Lungo il cammino lui ha fiaccato la mia forza e ha abbreviato il numero dei miei giorni. E io ho gridato “Mio Dio, non prendermi alla metà dei miei giorni!”» (Salmo 102). Eppure, nonostante la forza del desiderio di vita, nonostante la preghiera che fin dall’antichità gli uomini rivolgono al loro Dio, nonostante i progressi delle scienze, è ancora inevitabile dover fare i conti con un’interlocutrice che sembra muoversi come vuole. Al di sopra di ogni regola e di ogni legge. Se non le sue.

 

Altre parole allora ho cercato, nel tentativo di trovare un senso a questa realtà tuttora immutabile. E ancora un uomo dell’antichità, vissuto anch’egli in epoca assai lontana dalla nostra, in un dialogo con il suo Dio, dice: «Quando ero plasmato nel segreto, ricamato nel profondo della terra, le mie ossa non ti erano nascoste, i tuoi occhi vedevano il mio embrione: tutti i miei giorni erano scritti sul libro, già contati e non ce n’era nemmeno uno» (Salmo 139).

 

Allora ho fatto un salto nel tempo. E ho trovato parole che potrebbero aiutarci in questa difficile ricerca di senso. 1942, Auschwitz: Etty Hillesum, che incontrerà proprio lì, a soli ventinove anni, la sua morte, riprende un pensiero che la stava accompagnando da qualche tempo. «L’età dell’anima – scrive – è diversa da quella registrata all’anagrafe. (…) Si può nascere con un’anima che ha dodici anni. Si può nascere con un’anima che ne ha mille».

Perché no? Mi dico. Certo sono parole difficili da comprendere per chi guarda alla vita con un occhio abitudinario e magari un po’ superficiale. O per chi misura il tempo della vita con il solo calendario. Ma parole illuminanti se proviamo ad ascoltarle.

Gli antichi greci pensavano che un’anima, al momento di entrare in un corpo, portasse con sé un progetto che aveva scelto di realizzare tornando a vivere sulla terra. E ogni fase di vita serviva a lei per continuare il suo cammino di crescita e di perfezionamento, e serviva al resto degli uomini che avrebbe incontrato. Forse dobbiamo andare a questi pensieri per cercare il senso di quanto a noi appare come un’ingiustizia o una violenza quando ci troviamo la morte che arriva in tempi che ai nostri occhi appaiono non giusti. Quando vediamo persone che vivono tanti degli anni che misuriamo con il calendario e non riusciamo a cogliere il senso di una vita apparentemente assente. Quando, al contrario, vediamo la morte arrivare in età inappropriate per lei e portar via persone di cui, secondo noi, avremmo ancora tanto bisogno.

 

Davvero la vita sembra chiederci di ampliare il nostro campo visivo. E di provare a cogliere il tempo presente come un momento di un tempo più ampio. Che forse non si misura in anni. Un tempo il cui metro di misura è in un progetto di vita che un’anima, nel suo segreto, fatto di silenzio e di mistero, sa di voler realizzare. Un progetto condiviso con la Sorgente della Vita stessa – che da credenti possiamo chiamare Dio.

Proprio in questi giorni di Pasqua incontriamo un giovane uomo che muore a poco più di trent’anni. Mi sono sempre chiesto perché Gesù di Nazareth abbia incontrato la morte ad un’età ancora così giovane. Non mi so rispondere. Ma mi piace pensare che in quei pochi anni la sua anima aveva completato il suo progetto. Per sé. E per il resto dell’umanità.

 

«Ieri ho chiesto a Maria a proposito di una persona: è intelligente? Sì, ha risposto lei, ma solo col cervello». Sono ancora parole di Etty H. Non sarà che l’intelligenza che abbiamo bisogno di coltivare è anche quella del cuore?