VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

9 feb 2014

... e un tempo per i bambini (2)

“Tutti per me?”, “Sì, tutti per te!” gli dicono. E Giulio sgrana gli occhi tra un regalo e un altro. Indeciso su quale prendere per primo. Consapevole ormai – dall’alto dei suoi quattro anni! – che se ne prende uno, arriva l’adulto di turno, quello che di regalo gliene ha fatto un altro, che gli dice: “E questo non ti piace?”. E lui non sa più a chi rispondere. E, tra i mille oggetti sparsi sul pavimento, si lascia sopraffare dalla noia. Che è la madre della tristezza.

Allora vedi i suoi occhi che non s’illuminano. E gli adulti, quelli che gli hanno portato tante cose ma non gli sanno dare un po’ del loro tempo, commentano, dall’alto della loro saggezza (!): “I bambini di oggi hanno troppe cose, non si accontentano mai”.

 

Ma di cosa dovrebbero accontentarsi? Degli oggetti, inutili, con i quali riempiamo le loro stanze? Delle cose che compriamo loro per farli stare zitti quando ci chiedono di ‘giocare’ insieme? E dire che ce l’abbiamo messa tutta per convincerli che è bello avere tante cose. Che più cose hai, più sei felice. Ma loro no. Loro, testardi (!), non si lasciano fare.

 

Il fatto è che dalla loro parte hanno la saggezza della Vita. E contro questa è difficile combattere. Anche noi un tempo lo sapevamo, lei stava dalla parte nostra. Poi però siamo diventati grandi, e per sentirci accettati da quelli più grandi noi ci siamo prostituiti. E l’abbiamo tradita. Quella saggezza che abitava il nostro cuore, abbiamo cominciato a non ascoltarla più. Il bisogno di sentirci accettati era troppo forte e anche se il prezzo da pagare era tanto alto, alla fine abbiamo capitolato. Resa su tutti i fronti, senza condizioni.

Nessuna cattiveria c’era negli adulti di allora, genitori, parenti, insegnanti, amici. Tanta stupidità sì, però. La stupidità di chi si ostina a cercare la felicità del cuore nel benessere fatto di cose da possedere, di oggetti da accumulare. Fino al punto da sacrificare a questi dèi perfino il nostro tempo. Perfino il piacere di stare con le persone che ci vogliono bene.

 

Allora vedi uomini che pur di guadagnare di più sono disposti a stare tutto il giorno fuori casa. Rientrano la sera alle nove, stramazzati poi davanti alla tv o eccitati davanti al computer, senza una parola o un sorriso o una carezza da scambiare con chi è lì, dentro la stessa casa: la propria compagna di vita, il proprio bambino. Stanchi, sfiniti, annoiati. Persi, imprecando al destino crudele che ci fa essere insoddisfatti perché c’è sempre qualcuno che ha qualcosa più. La macchina più nuova, la casa più bella, le tende più eleganti, il telefonino più in.

No, non è questione che manca il lavoro – questo è un problema aggiunto, purtroppo. È questione che abbiamo imparato a relazionarci con le cose. E disimparato a stare con le persone.

 

Ma per fortuna ci sono ancora i bambini! Solo che dovremmo provare a guardarli rovesciando certe posizioni. Qualche volta, almeno. Noi diciamo che educare un bambino significa insegnargli tante cose. Bene. Proviamo qualche volta a mettere al posto di insegnare la parola imparare. Scambiando i soggetti. Educare un bambino significa imparare da lui. Riscoprire, attraverso lui, che non sono gli oggetti che possono riempire il nostro cuore. Sono le persone. È il tempo. Quello condiviso.

 

Ecco perché Giulio, subito dopo aver aperto tutti i regali ricevuti, passa dall’uno all’atro, poi si ostina a venirti vicino e a chiederti di ‘giocare’ con lui. Ecco perché non si lascia convincere che tanti regali lo possono rendere felice. Ecco perché dei regali non sa proprio che farsene e continua a chiederci un po’ del nostro tempo.

Perché lui ancora è saggio. Ancora sa che la felicità di un essere umano sta nell’incontro con l’altro, con chi ti vuole bene. Ancora sa, perché è capace di ascoltare il suo cuore, che le cose non saranno mai all’altezza di riempire il suo desiderio di condivisione e di amore. Saranno sempre e soltanto dei surrogati: belli quanto vuoi, ma sempre surrogati.

 

Non dimentichiamolo: è del nostro tempo che essi hanno bisogno. Proprio come un giorno noi avremo bisogno del loro.

Il tempo, quello che le mille cose da fare ci convincono che non basta mai. È questo il regalo più bello. Per i nostri vecchi (che abbiamo incontrato la settimana scorsa nella casa di riposo, ricordate?). Per i nostri bambini.

E per noi. Che viviamo quell’età delle tante cose da fare. Quella che, per non essere perduta, ha bisogno di venire accompagnata, giorno dopo giorno, dall’ascolto della nostra anima. Dalla scoperta continua che il senso della vita è racchiuso in ogni oggi.

(2. fine)