VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

12 mag 2013

Un bambino di cinque anni uccide la sorellina di due

Papà, cos'è la guerra?

“Papà cos’è la guerra?”. Silenzio e sguardo perso nel vuoto, a cercare parole. Poi: “La guerra è… quando ci sono gli uomini che vogliono uccidere i nostri e tu cerchi di impedirglielo”, “Ma vogliono uccidere anche te?”. E lui sa solo prenderla fra le braccia cercando di rassicurarla. Più o meno così il dialogo tra una bambina e suo padre che sta partendo per il Vietnam. Ma di sicuro – e qui il film non lo dice – un dialogo simile, una bambina e il suo babbo lo stavano facendo anche a Hanoi. Magari in quella stessa ora. E con il medesimo sguardo, perso in un vuoto incomprensibile per il cuore di un bambino.

 

Sparagli Piero, sparagli ora

E dopo un colpo sparagli ancora

Fino a che tu non lo vedrai esangue

Cadere a terra e coprire il suo sangue.

È la triste Guerra di Piero che cantava Fabrizio De André.

 

C’è una cosa più assurda della guerra?

 

Forse sì. Nella cittadina di Burkesville nel Kentucky, un bambino di cinque anni spara con il suo fucile alla sorellina di due. E la uccide. Glielo avevano regalato qualche mese prima per il suo quarto compleanno. Un fucile. Un fucile vero. A quattro anni. Non è possibile, direte. Invece no. È possibile. Nei civilissimi Stati Uniti d’America tutti possono acquistare armi. Non solo. Quel fiorente mercato da 32 miliardi di dollari mette in commercio anche armi per i bambini. Armi colorate, con le misure adatte alla loro statura, alle loro braccia. Armi fucsia, celesti, rosa. Ma armi vere. Che usano proiettili veri. Caroline, una bimba di due anni e il suo fratellino di cinque sono le ultime vittime di un mercato da 32 miliardi di dollari.

 

Non so bene da dove partire per provare a dare voce ai miei pensieri. Se dai 32 miliardi di dollari o dai bambini. Se dal little crickett, così la fabbrica che lo costruisce chiama il fucile per bambini, o dai giochi che i bambini si aspettano per il loro compleanno.

 

Quelli che guardano al fiorente mercato da 32 miliardi di dollari diranno che questo, in fondo, è soltanto un incidente, certo brutto, ma soltanto un incidente. Ci diranno anche che un mercato tanto fiorente non può essere messo in crisi. Soprattutto in tempi così difficili come i nostri. A uno di questi signori vorrei chiedere: e se fossero i tuoi quei due bambini coinvolti in questa tragedia, difenderesti ancora un settore industriale così… redditizio?

 

Ora, però, il mio pensiero, confuso, va a Caroline che ha chiuso la sua vita a soli due anni. Poi va al fratellino. Vivo lui. Ma anch’egli morto, a cinque. Oggi non ancora del tutto consapevole della portata del suo gesto. Ma mentre lo accompagno con il mio pensiero negli anni che verranno, già sento la tristezza che diventerà dolore che diventerà rabbia che diventerà disperazione. E non so dire, adesso, in che direzione questa rabbia lo porterà. Contro se stesso? Allora arriveranno gli esperti e la chiameranno depressione. Se poi non dovranno chiamarla suicidio. Contro gli altri? Altri esperti allora arriveranno e chiameranno lui asociale, disadattato, malato di mente, criminale.

E come guarderà ai suoi genitori? Quegli adulti che gli hanno regalato un gioco troppo grande per lui, troppo pesante per la sua ancora piccola mente. Come riuscirà a trovare la forza di perdonarli per averlo messo nelle condizioni di uccidere, a soli cinque anni, una sorellina di due? E la forza per perdonare a se stesso?

 

Poi penso a questi due genitori. Qui le parole sono ancora di meno. Provo a immaginarli e li vedo raggomitolati, chiusi. Disperati. Senza più aria da respirare. Senza più luce da far arrivare ai loro occhi. Con tutto il peso della superficialità che diventa colpa. Con tutto il peso della loro bambina morta. Uccisa dal fratellino – o forse da loro stessi. Perché questo fratellino, ora, chiede a loro di trovare un po’ di conforto. Consolazione. Speranza.

Credo sia giusto sentirci vicini a questi genitori. Perché ritrovino, per loro stessi e per il loro bambino, la forza di vivere. E di sperare. Magari con l’aiuto speciale della loro Caroline e la benedizione del Buon Dio.

 

Ma non riesco a sentirmi vicino a quei tanti genitori che continuano a regalare ai bambini giochi che non sono giochi. In Italia, grazie a Dio, non si vendono armi vere per i bambini. Ma che bisogno abbiamo di regalare armi finte, giochi violenti per la playstation, cartoni pieni di aggressioni, di violenze, di sparatorie, di omicidi?

 

 «Mettete dei fiori sui vostri cannoni» cantavamo, da giovani. Gandhi ha liberato la sua India dal dominio di un impero potente. E non aveva neanche un fucile. Ma è così facendo che ha ridato speranza al mondo intero.