VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

1 dic 2013

L'universo che ci abita

«Nell’ombra del tempio vedemmo, il mio amico ed io, un cieco che sedeva in disparte. Il mio amico disse: “Guarda, l’uomo più saggio della nostra terra”. Lasciando il mio amico mi avvicinai al cieco, salutandolo. E prendemmo a parlare. Dopo un poco dissi: “Perdona la mia domanda: da quanto tempo sei cieco?”. “Dalla nascita”, rispose. Dissi io: “E quale sentiero di sapienza percorri?”. Disse lui: “Sono astronomo”. E appoggiando le mani sul petto disse: “Scruto tutti questi soli e lune e stelle”».

Così parla Il Folle di Kahlil Gibran.

 

L’universo ha sempre affascinato gli umani e ne ha catturato la fantasia. Un tempo, quando il cielo potevamo chiamarlo ‘volta celeste’ e vedevamo nelle stelle tanti lumicini affissi da un qualche dio per illuminare la notte, ci sentivamo più protetti. In una casa che ci conteneva. Noi, e tutti gli altri abitanti della terra. Poi il desiderio di conoscere e la capacità di non fermarci alla prima immagine che c’eravamo costruita ci hanno aperto gli orizzonti, e il cielo è diventato una realtà sconfinata. Senza limiti. Un’apertura sull’universo infinito. Le stelle sono diventate tanti soli e il sole nostro e la terra nostra si sono trasformati in qualcosa di sorprendentemente piccolo. Puntini dell’universo infinito. E noi, gli esseri umani, ricchi della consapevolezza acquisita nei pochi milioni di anni che hanno accompagnato la nostra evoluzione, ci siamo visti costretti a ridimensionare l’immagine che di noi c’eravamo costruita e abbiamo dovuto riconoscere che, se pure l’intelligenza ci apre alla comprensione del mondo e della vita, non possiamo che cogliere, nello stesso tempo, la piccolezza della nostra terra e di noi stessi nell’universo illimitato.

E la nostra ricerca continua. In una scoperta inarrestabile. Come inarrestabile, ora, ci si presenta quest’universo in continua espansione.

 

Un universo in gran parte ancora sconosciuto è quello che abitiamo. Ma un universo ancora più sconosciuto è quello che ci abita.

 

Non siamo noi mistero a noi stessi? Chi può dire di conoscere fino in fondo il proprio cuore? Sentimenti, segreti, desideri. Angosce, paure. E non è tanto di quella parte di noi che la psicanalisi chiama inconscio che voglio parlare. È piuttosto di quella distanza da noi stessi, di quella lontananza che rende difficile ascoltarci. Catturati da un ritmo travolgente, da impegni che travalicano le nostre ore e i nostri giorni. Di corsa, dal mattino alla sera. Costretti in una produttività che ci divora. E dentro questa corsa, noi adulti ci portiamo anche i nostri bambini e i nostri vecchi.

 

Fermiamoci un momento. Respiriamo. Guidati da quell’uomo cieco che con le mani sul petto si dice astronomo, perché capace di scrutare tutti i soli e le lune e le stelle che lo abitano. Soli, lune, stelle che sono i nostri pensieri, i nostri desideri. Essi ci abitano e non chiedono altro che di essere visti. E ascoltati. È un universo ricco, tutto da esplorare. Passo dopo passo. Non serve la fretta. Questa ci porta fuori, ci fa volgere lo sguardo altrove. Alle cose da fare, ai mille impegni nei quali siamo incastrati.

Dobbiamo lavorare, certo. In un momento di crisi come quello che stiamo attraversando, siamo già fortunati se un lavoro ci accompagna. Ma non possiamo dimenticarci di noi. Lo dico prima di tutti a me che esco di casa il mattino per ritornarvi la sera dopo dodici ore spese nell’incontro con allievi e pazienti, incorniciate da settanta chilometri di asfalto. E mi permetto di dirlo anche a voi.

 

Vi ripropongo una domanda che già altre volte ci siamo scambiati: riesco a regalarmi dieci minuti al giorno per stare con me? Con un po’ di silenzio. Magari accompagnato da un libro, o da una preghiera (per chi sa coltivare questa dimensione nella sua vita). O semplicemente seduto ad ascoltare il cuore che batte, dicendogli di non correre troppo, anche lui; seduto ad ascoltare i polmoni che dialogano con l’aria che mi avvolge, invitandoli ad usare tutta la loro capienza e non semplicemente un angolo in cima in cima, anch’essi in un su e giù rapido e corto.

 

Se posso regalarmi questi minuti di silenzio, con me, sarò poi capace di stare vicino a chi mi è vicino: mia moglie, mio marito, i figli, o quel genitore anziano – al quale pure chiedo, troppo spesso, di continuare a correre al ritmo di affanno.

Allora riuscirò anche a guardare il mio bambino e a regalargli uno o due pomeriggi nella settimana in cui è libero di giocare con i suoi amici o di trascorrere un tempo meno di corsa, tra piscina, palestra, calcio, judo, e tutto quanto abbiamo inventato per lui.

Allora riuscirò a chiudere la mia giornata con un sorriso e un saluto condivisi con chi vive con me. Un sorriso e un saluto che ritroveremo, insieme, il mattino dopo. Da bravi… astronomi.