VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

17 mar 2013

Ascoltando... due amici inseparabili

La parola e il silenzio

Gli manca la parola! Quante volte l’avremo detto, osservando lo sguardo attento del nostro cane o mentre ci godevamo le coccole del nostro gattino. È proprio vero. Noi umani, pur essendo parte dello stesso mondo e appartenendo alla medesima natura, abbiamo raggiunto questa capacità straordinaria dalla quale ogni altro essere vivente sembra escluso.

La parola è un dono davvero grande. È attraverso di essa che vive il dialogo. Con l’altro e, prima ancora, con noi stessi. È con la parola che possiamo esprimere i nostri pensieri. Non solo, è attraverso di lei che questi man mano possono emergere, e noi possiamo collocarli uno accanto all’altro. Senza le parole non potremmo neanche costruirli: sono i mattoni con i quali edifichiamo le idee.

 

Nel corso della storia, la capacità di formulare parole ha sempre impressionato l’umanità. Così tanto, che nelle diverse religioni l’immagine della divinità – cui abbiamo dato forme, numero e nomi diversi – ha sempre una caratteristica: è una divinità che possiede la parola.

Guardiamo un momento la nostra tradizione religioso-culturale, quella ebraico-cristiana. Nell’ebraico antico – una lingua considerata ‘sacra’ perché è la lingua in cui è scritta la prima parte della Bibbia – parola si dice davàr. Il suo significato è molto ampio. Davàr significa parola, come in italiano, ma anche cosa, o fatto. Cioè qualcosa che esiste, qualcosa di concreto. Nel mito delle origini il Dio Creatore dà vita al mondo con dieci parole. Nella prima pagina della Bibbia leggiamo: «Dio disse: “Sia luce”. E fu luce». Poi ancora: «Dio disse…». E così di seguito. La parola della divinità è così ‘potente’ che produce ciò che esprime: dieci parole del Dio Creatore fondano l’esistenza dell’universo.

 

Tutti, credo, abbiamo fatto esperienza di parole potenti.

Parole che hanno riempito il cuore di gioia e di speranza, accanto a parole che ci hanno gettato nell’amarezza o nello sconforto. Perfino nella disperazione. La parola calda di un amico; la parola di un figlio che sa dire grazie, o quella di un padre che sa comprendere un momento di confusione; la parola di un medico che, incapace di guardare il nostro sguardo, ci soffoca la speranza. Parole diverse. Lontane tra loro. Ma sempre potenti.

 

Ma la parola è anche limite.

Strumento inadeguato, spesso, per svelare la nostra anima. Quante volte diciamo “Non trovo le parole”, quando vogliamo esprimere un pensiero o un’emozione. E vediamo che spesso, pur numerose, in realtà non traducono fino in fondo ciò che sentiamo. Lo stesso termine parola esprime bene quest’aspetto. (Parola deriva dal latino parabola che a sua volta nasce dal greco parà-bàllo che significa mettere accanto, confrontare). Se pure è vero che la parola è interprete privilegiato dei pensieri e strumento per esprimerli, molte tuttavia sono le parole cui spesso chiediamo aiuto per tradurre un pensiero, un’immagine. E nonostante la loro molteplicità, non sempre ne siamo soddisfatti.

 

Ambivalenza della parola, dunque. Da una parte essa è potente, produce ciò che dice; dall’altra porta tutto il limite di non riuscire ad esprimere l’intensità dei significati che vorremmo trasmettere.

 

Due settimane fa riflettevamo sulla necessità di regalarci spazi di silenzio. Quale vicinanza lega il silenzio e la parola?

Al mercato delle parole
si vendono parole e parole;
a cento a cento, a mille a mille
vengono i parolai.
Hai in cuore qualcosa da dire?
Al mercato dei ciarlatani
nascondilo nel silenzio.

È Tagore, un poeta indiano vissuto nella prima metà del secolo scorso.

La parola e il silenzio, due compagni di strada. Amici inseparabili, che reciprocamente si disvelano. Entrambi dono prezioso per l’umanità. Entrambi, ancora, fortemente bisognosi, l’uno dell’altra.

 

Nella vita di ogni giorno la parola è compagna fedele. Lei ci parla, e prima di uscire dalla bocca ci invita ad ascoltarla. Lei conosce bene il suo limite e la sua potenza. Sa che attraversando gli orecchi arriva al cuore, e in questo viaggio può diventare anche violenza e disperazione. Per questo il suo invito ad ascoltarla prima di farla uscire: lei ama diventare carezza e alimentare la vita.