VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

27 gen 2013

Riflessioni... per non dimenticare

Il giorno della memoria

Così lo chiamiamo, il giorno della memoria. Nasce il 27 gennaio 1945 con l’ingresso nel campo di Auschwitz delle truppe sovietiche. Auschwitz, Birkenau, Buchenwald, Dachau, Mauthausen, Treblinka… una lista infinita di nomi che riempirebbe lo spazio di un articolo. Una lista che invade la nostra mente, il ricordo di un’umanità che ha perduto se stessa. Ricordi che sono incubi per una mente sana. Origine di domande prive di ogni indirizzo che possa condurre verso risposte comprensibili.

Ricordi di un passato, certo vicino – alcuni di noi abitavano già questa terra quando quei nomi sono diventati obbrobrio e vergogna. Ma anche luoghi di proiezione e di rifugio di fantasmi tuttora presenti.

 

Un’antica tradizione avevano inventato gli uomini per allontanare da loro stessi il male di cui si vedevano responsabili, e che pure sentivano presente nel segreto del loro cuore. Prendevano un animale, gettavano sulle sue spalle tutto il male che essi avevano commesso, poi lo cacciavano dal villaggio. Lontano. Lontano dal mondo degli umani, destinato a perdersi verso altri territori. Così, essi pensavano, tutti i tradimenti dell’amore e i tradimenti della vita se ne andavano. Lontani. Li avevano cacciati. Così credevano. Salvo poi a dover ripetere, l’anno dopo, il medesimo rito. Una ripetizione infinita. Inutile e infinita. Inutile, perché non è con un rito che allontaniamo da noi stessi il male che ci abita. Infinita, perché solo il riconoscimento delle nostre responsabilità è l’indirizzo giusto per incontrare il perdono e la purificazione.

Lo chiamavano capro espiatorio. Ma come poteva un povero animale, che non c’entrava niente, espiare colpe che non gli appartenevano? Quel male messo a forza sulle sue spalle, come poteva restarci nella corsa che doveva portarlo lontano dal mondo degli uomini? Non era suo il peso, e non poteva che scivolare giù. Lui se ne andava, lontano, ma il male degli uomini restava lì. E gli uomini tornavano ad incontrarlo e a farlo vivere nei loro cuori.

 

Quei nomi-incubo, che ogni 27 gennaio rileggiamo nella nostra memoria, non rischiano oggi di diventare per noi il luogo di proiezione di quel male che, se non ne siamo consapevoli, continua ad abitarci? Quei luoghi male-detti, dove l’uomo rinnegava la vita e uccideva se stesso, prigioniero di sentimenti di morte, se proviamo ad ascoltarli, ci risuonano come richiamo a svegliarci. E a restare svegli.

Ebrei, zingari, omosessuali, malati di mente, disabili… nella loro diversità erano diventati il capro espiatorio che doveva essere allontanato dalla società civile. Così, dopo aver legato sulle loro spalle la cattiveria e la malvagità dei normali, questi ultimi potevano sentirsi finalmente liberi e puri. Purezza della razza, dicevano.

 

Una domanda mi accompagna da un po’ di tempo e mi disturba la quiete che vorrei far vivere in me dal momento che io dovevo ancora nascere, quando a decidere valori e disvalori erano gli uomini del nazifascismo. I diversi di allora sono diversi anche oggi?

Aktion T4, così si chiamava il programma di liberazione dei disabili e dei malati di mente dalle sofferenze della vita (= la loro eliminazione nelle camere a gas) e la conseguente purificazione della razza dal momento che i ‘pezzi’ mal riusciti venivano eliminati e non c’era più neanche il rischio che potessero riprodursi.

 

E noi, oggi? Noi non siamo così. Certo. La civiltà e il progresso ci hanno fatto chiudere i manicomi – che non erano luoghi di cura ma case di segregazione e di violenza (per la verità abbiamo ancora i manicomi criminali). E i disabili? Penso a quei bambini che – finalmente! – frequentano la scuola di tutti. Non sono loro i primi a perdere l’assistenza di cui hanno bisogno, nel momento in cui la crisi economica impone tagli alle spese? Insegnanti specializzati e servizi educativi, scolastici e domiciliari, non sono i primi ad essere eliminati? Ridotti diciamo – eliminati era un verbo nazista. Ma quando un bambino si trova solo in classe e l’insegnante non può seguirlo perché ne ha altri venticinque… quando i genitori degli altri venticinque fanno pressione sugli insegnanti perché “rimangono indietro” rispetto alla classe parallela che non ha il bambino con difficoltà… quando certi genitori si guardano bene dall’iscrivere il proprio figlio nella classe con un bambino disabile… quando le famiglie sono abbandonate a loro stesse perfino dal Servizio Sanitario perché ‘decimato’ nel personale per i tagli nella sanità…

Certo, quando ripensiamo all’Aktion T4, la vergogna invade le nostre anime.

Come possiamo chiamare la nostra politica di emarginazione-dimenticanza-abbandono verso i soggetti più deboli della nostra società?

 

La civiltà di un popolo non si misura dal benessere dei ricchi. La vera misura è lo stato di salute e di benessere dei più deboli.