VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

22 set 2013

Condannati a morte i violentatori della ragazza indiana

Giustizia è... fatta?

No. Giustizia non è fatta.

Nel dicembre scorso una ragazza di 23 anni è stata violentata da sei uomini in un bus a Nuova Delhi, poi scaricata a terra e lasciata lì. Qualche giorno dopo Nirbhaya (così chiamata, Colei che non ha paura) è morta per le lesioni subite. Ne avevamo parlato anche noi nel gennaio scorso. Questi giorni il tribunale indiano ha condannato quattro di quegli uomini alla pena di morte. Degli altri due, uno era stato trovato morto in carcere e l’altro, minorenne, è in riformatorio. Molti hanno detto: giustizia è fatta. Hanno ucciso. Saranno uccisi.

Ma davvero pensiamo che la pena di morte sia una risposta e una soluzione al problema della violenza sessuale?

 

Certo è difficile pensare a un delitto più vigliacco dello stupro. Un essere umano aggredisce e offende un altro essere umano come lui, con un atto che la natura ha ‘inventato’ per proteggere la vita. L’uomo, così grande nella scala dell’evoluzione da essere capace di vivere la sessualità come incontro d’amore, tradisce questa sua energia e la deforma fino a renderla strumento di violenza e di morte. Un tradimento verso se stesso. Un ‘rinnegamento’ della propria natura.

Il maschile e il femminile, le due facce dell’umanità, vengono opposte e contrapposte. Fino a un punto che non solo chiude ogni dialogo e ogni possibilità d’incontro. Ma va oltre. Lo rende scontro. Sorgente di morte.

 

Altri episodi ci riportano le cronache di questi giorni. Episodi tremendi. In India una ragazza è stata picchiata e uccisa dai due fratelli perché si era innamorata di un giovane uomo appartenente a un’altra casta ed era fuggita con lui per sposarlo. Nel vicino Pakistan due bambine, di cinque e dieci anni, rapite e violentate. Ma non allontaniamoci troppo. Perché anche le nostre cronache, le cronache italiane, ci parlano di aggressioni che esseri-umani-maschi mettono in atto contro esseri-umani-femmine.

 

Abbiamo dovuto costruire una parola nuova. Brutta nella forma. Ancora più brutta nel contenuto. Femminicidio. L’uccisione di un essere-umano-femmina da parte di un essere-umano-maschio.

Devo dire che ho visto con amarezza qualche amico e collega che si è permesso di farci perfino dell’ironia: come se, non potendo usare sempre il termine uxoricidio (dal latino uxor = moglie), volessimo sottovalutare la confusione e la crisi che sta vivendo la famiglia di oggi. Come se questa fosse il risultato di giochi piacevoli o di pura superficialità.

Io non penso proprio che ci sia da giocare. Meno ancora da farci dell’ironia. La violenza dei maschi sulle femmine, fino a raggiungere estremi impensabili per un essere umano, è cosa troppo seria e troppo drammatica. Essa esprime tutta la miseria di un uomo. La sua povertà interiore, una mente che sa guardare al rapporto uomo-donna come fosse un rapporto di pura proprietà.

La donna proprietà dell’uomo è certo un pensiero vecchio. Ma è un pensiero ancora troppo presente anche nella nostra civile Italia: pensate, sono passati soltanto trentadue anni (era il 1981) da quando abbiamo eliminato nel nostro Codice sia il delitto d’onore sia l’istituto del matrimonio riparatore!

 

E che dire dello stupro di gruppo? Uomini, giovani e meno giovani, che insieme violentano una donna. Quale vigliaccata più grande si può pensare? Uomini maschi – il sesso forte! – che cerca forza e coraggio in un branco, per un atto... grande, certamente ‘eroico’: aggredire una donna.

 

Lo so che non sto parlando di cose piacevoli. Tantomeno sono cose che ci portano luce. Ma servirebbe a qualcosa la strategia dello struzzo? E proprio perché questa non ci servirebbe, ora vorrei fare con voi un passo avanti, e guardare per un momento a certe forme ‘moderne’ di violenza di gruppo. Forme troppo sottovalutate, a mio parere. Parlo di quella violenza che i nostri ragazzi si giocano nei social network. Anche ragazzini, di scuola media o poco più grandi. Compagni di scuola che prendono di mira una compagna pubblicando foto o scritte che ne offendono l’immagine e la mettono alla gogna. Ragazzi del tutto ‘normali’ per il resto, magari anche bravi studenti. Che ne dite, possiamo chiederci dove stanno i genitori? E dove stanno gli altri adulti (insegnanti, educatori…) di fronte a questi comportamenti?

 

Siamo partiti da lontano. E, di ritorno dall’India, stiamo cercando una risposta al problema della violenza sulle donne. La pena di morte, dicevamo. Ma quale soluzione ci porta? La morte porta soltanto altra morte.

Sia chiaro: chi commette un tale delitto va punito. Seriamente e severamente punito. Ma come ogni punizione, anche in questo caso essa deve rispondere a una duplice esigenza. Dover riparare nei confronti di quella società che con il loro crimine queste persone hanno offeso: privazione della libertà, lavori utili e riparatori per i quali spendere anni e anni di vita. Ma anni che, nello stesso tempo, portino chi ha commesso un tale crimine anche a ritrovare quella dignità umana che con il suo gesto ha calpestato e distrutto.