VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

8 dic 2013

C'è tempo e tempo

Questi giorni ci ha visitato una cometa. ISON l’hanno chiamata. E così continuiamo a ricordarla, anche se in realtà il suo nome scientifico è solo una fredda sigla: C/2012 S1. Ma per noi un nome, anche se è semplicemente un acronimo dell’Istituto in cui lavorano i due scienziati che l’hanno vista per primi, ce la rende più simpatica e più vicina.

Nella mia ricerca per conoscerla un po’ meglio, la cosa che più mi ha colpito è il tempo del suo viaggio per arrivare fino a noi. Cinquemilioni di anni. Noi ancora non c’eravamo: la terra non sapeva ancora che ci avrebbe ospitato. Il nostro viaggio nell’evoluzione, iniziato da qualche parte, non faceva ancora minimamente immaginare che uno degli abitanti di questo pianeta avrebbe fatto così tanta strada da arrivare alla consapevolezza di sé. A raggiungere la capacità di ragionare e di riflettere. Che viaggio!

 

Un tempo e uno spazio per noi impensabili. Cinquemilioni di anni. Noi che contiamo un giorno dopo l’altro e un anno dopo l’altro. 2013: noi siamo qui. Così diciamo. Avete mai pensato a quanta difficoltà facciamo quando tentiamo di andare oltre la nostra data di nascita? Un giovane trentenne fa molta fatica a ‘contare’ il tempo che precede il suo 1983. L’età ne limita la storia: non solo quella personale, ma ne limita addirittura la percezione del tempo prima che lui nascesse. Un settantenne sa ‘contare’ fino al 1943: il tempo prima è un tempo che non sa percepire.

Molte volte ci capita di nominare persone vissute duemila anni fa, per esempio. Augusto, Tiberio, Cesare sono per noi personaggi che si perdono nella storia. Gesù di Nazareth – che pure tutti riconosciamo come un grande Maestro, e molti fra noi che ci stiamo leggendo riconosciamo come l’inviato da Dio, il Cristo – è anch’egli lontanissimo. In un tempo che facciamo fatica a immaginare e a percepire come un tempo reale. Con quella dimensione di realtà con cui percepiamo gli anni di vita che segnano ciascuno di noi.

 

Dove sono, nella nostra mente, i cinquemilioni di anni del viaggio di Ison? Dov’è quello spazio che lei ha attraversato in tutto questo tempo? Che cos’è questa nostra terra che ci ospita, in questo immenso spazio infinito? Da dove viene il nostro sistema solare e verso dove sta correndo? E il tempo, qual è il tempo delle origini e quale sarà quello della fine? Quale fine poi? Tante specie che hanno abitato la nostra terra hanno già incontrato la loro fine, dopo aver attraversato il tempo della vita. Milioni di anni. I dinosauri hanno finito il loro tempo. Altre specie si sono estinte. È la legge della Natura.

E noi? La specie umana non arriverà anch’essa all’estinzione? O si muoverà essa, per un privilegio inspiegabile, verso una trasformazione che continuerà ad ampliarne la consapevolezza e la capacità di riflessione sul senso della vita?

 

Gli antichi greci – ‘vicinissimi’ a noi, in un tempo che si conta appena in poco più di duemila anni – usavano parole diverse per indicare il tempo. Accanto a crònos che significa semplicemente il tempo che scorre, essi usavano la parola kairòs che indica il tempo propizio: il tempo della vita. Il tempo che indica il momento presente.

 

Einstein con la ‘sua’ relatività ci ha insegnato a coniugare insieme tempo e spazio. Indicandoceli come una coppia particolare che cammina mano nella mano. Certo, la nostra mente si perde nel momento in cui guarda il tempo e lo spazio, immensi, delle galassie. Il loro espandersi, accanto al loro nascere e al loro morire. In un tempo (crònos) che misuriamo in miliardi di anni e in uno spazio che proviamo a misurare in anni luce. E noi, piccini, non possiamo che temere di perderci in tanta immensità. «Mille anni ai tuoi occhi – dice una preghiera di oltre duemila anni fa – sono come il giorno di ieri che è passato» (Salmo 90,4).

 

È qui che la parola kairòs – che i nostri padri greci ci hanno regalato – ci viene in aiuto. È il tempo della vita. Il tempo della mia vita. Il tempo propizio, quel tempo che, vissuto nella sua pienezza, dà senso alla mia vita. Alla vita di ciascuno di noi.

È un tempo relativo, certo, ma è la pienezza del tempo che mi definisce. Così come mi definisce lo spazio vitale dentro il quale muovo i miei passi. Ecco quindi che il tempo e lo spazio, che nel campo visivo dell’universo rischiano di farmi sentire nulla di fronte all’immensità e alla percezione dell’infinito, nel momento in cui posso coglierli nella dimensione dell’oggi, diventano momento propizio per la costruzione della mia vita e di quella parte di universo che frequento e dentro il quale muovo i miei anni. È qui il senso dell’impegno e della responsabilità con i quali ci sentiamo chiamati a misurarci, giorno dopo giorno.