VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

4 mar 2012

Separazioni. Un dialogo da ritrovare (3)

È la terza volta, con oggi, che proviamo a riflettere su alcuni aspetti che accompagnano il processo di separazione coniugale. È vero, è un argomento che porta tristezza al nostro cuore, ma come facciamo a non guadarlo? Ci dicono le statistiche che in Italia una famiglia su quattro attraversa questa strada.

Due settimane fa, salutando Aldo che ci parlava della difficoltà ad incontrarsi con la sua ex, ci dicevamo di come fosse necessario che cercasse di ritrovare una strada per riaprire il dialogo con lei. Per due ragioni. Una prima rispetto ai suoi figli. L’altra nei confronti di se stesso. Oggi le riprendiamo, provando a ragionarci un po’ meglio.

 

La prima ragione. I figli.

Per un figlio il babbo e la mamma sono le sue ‘due metà’. La biologia ci dice che un bambino è il risultato del patrimonio genetico dei suoi genitori. Così ha origine la storia di ciascuno di noi. In principio… è l’incontro tra un ovulo della mamma e uno spermatozoo del babbo che dà origine a quel processo vitale che porterà, in soli nove mesi, alla nascita di un bambino. Quest’incontro iniziale permane come un segno indelebile in ciascuno di noi. Meglio ancora, in ciascuna parte del nostro corpo, in ogni cellula del nostro organismo. Ogni cellula, infatti, ha in sé il patrimonio genetico che ciascun genitore vi ha depositato: dei 46 cromosomi nel nostro DNA, 23 sono di origine materna e 23 di origine paterna.

Questo è il ‘patrimonio’ – è proprio questa la parola che usano le scienze biologiche e psicologiche – con cui ciascuno di noi viene al mondo. Come poi ‘spendiamo’ questo patrimonio dipende in parte dall’ambiente nel quale ciascuno di noi cresce e in parte dal tipo di ‘investimenti’ che ognuno fa attraverso il lavoro, la fatica e la gioia del vivere.

 

Tornando a noi, possiamo affermare dunque con buona certezza che un figlio – sia egli bambino o adulto – ha bisogno di conservare nel suo cuore un’immagine positiva dei suoi genitori. Per quale ragione? Perché la nostra mente profonda, nella sua duplice dimensione di mente biologica e di mente psicologica, sa molto bene che è proprio nella combinazione tra una metà più una metà che ciascuno di noi è un intero. E queste due metà sono il padre e la madre.

Perdere la stima di uno dei genitori è come se una parte di noi diventasse ‘negativa’. Le due metà non possono aggredirsi nel nostro cuore: quando due genitori vivono nel conflitto e nella svalutazione reciproca, il cuore di un figlio è dilaniato. Spezzato. I due genitori possono anche separarsi, possono vivere concretamente in due case diverse, ma non possono restare ‘separati’ da rancori e ostilità.

Un genitore che svaluta l’altro agli occhi di un figlio arreca a questo figlio un grave danno. Come coniugi, o ex coniugi, possiamo anche perdere la fiducia nell’altro. Ma non possiamo indurre nel figlio disistima o disprezzo verso uno dei due genitori.

 

L’altra ragione per cui è necessario tenere aperto il dialogo con l’altro coniuge, anche dopo una separazione, riguarda noi adulti.

Conservare rancori nel nostro cuore fa male a noi stessi. Ci logora. Ci consuma energia vitale.

Il rancore è un sentimento profondo. Tutti noi, credo, l’abbiamo provato almeno una volta nella vita, magari per un tempo breve. Proviamo a ricordare qualcuno di quei momenti: ogni volta che ripensavamo a quella persona che ci aveva fatto un torto, sentivamo lo stomaco contrarsi e la rabbia salire, salire fino ad occupare tutti i nostri pensieri e toglierci il respiro. Le nostre energie erano tutte ‘catturate’ da quella tensione.

Conservare rancore significa alimentare un sentimento nel nostro cuore. Un sentimento forte. Ma è un sentimento che ci intossica, ci rende ‘dipendenti’. Come una droga. Così dipendenti che quando questo diventa tanto forte, tutte le nostre energie sono investite nel tentativo di escogitare ‘come fargliela pagare’ a chi ci ha arrecato e ci arreca tanta sofferenza.

 

Provare a ‘lasciar andare’ quella persona, lasciare che faccia la sua strada, è qualcosa che fa bene a noi. Ci libera dal buco nero dentro il quale il rancore ci imprigiona. Il buco nero, ci dicono i fisici, è così carico di energia che riesce ad imprigionare perfino la luce. Così è il rancore per il nostro cuore e per la nostra mente: non fa uscire neanche un raggio di speranza. Un raggio di vita.

 

Caro Aldo, non si spaventi. Forse ci vorrà ancora del tempo perché lei possa ritrovare la strada di un dialogo con la sua ex, ma non ceda alla tentazione di volergliela ‘far pagare’ a tutti i costi. Non ne guadagnerebbe nessuno. Non ne guadagnerebbero i suoi figli. Ma, davvero, non ne guadagnerebbe neanche lei! Ora, nel salutarla, mi permetta di dirle ancora grazie per averci dato l’occasione di riflettere insieme su questi grandi temi.