VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

15 gen 2012

Affamati di giustizia

Buon anno!

Oggi riprendiamo i nostri incontri settimanali. Reduci dalle feste. O, comunque, da giornate diverse dalla solita routine. Ed è molto probabile che per alcuni (molti, pochi?) di noi ‘feste’ proprio non siano state. E tutti, comunque, ne usciamo un po’ affaticati. Ora, finalmente, riprendiamo la normalità della vita. Il lavoro, la scuola, le giornate con il loro ritmo abituale e ben conosciuto. E tutti sappiamo bene come il conosciuto ci tranquillizzi e porti il suo buon contributo nel tenere a misura l’ansia, o addirittura nello scioglierla!

 

È ormai tradizione – questo è il quarantacinquesimo anno – che il primo giorno di un nuovo anno ci fa fare un buon incontro. Con una parola tanto desiderata. Una parola di cui tutti sentiamo un grande bisogno. Di cui tutti abbiamo una grande fame. PACE.

Pace tra i popoli e tra le nazioni. Pace tra le culture e tra le religioni. Pace in famiglia, tra le persone amiche. E, infine, pace con noi stessi.

Nell’ultimo incontro del 2009, due anni fa, c’eravamo salutati ascoltando il posto che la parola PACE occupa in alcune tradizioni culturali a noi vicine e alle quali, in parte, anche noi apparteniamo. Proviamo a ricordarcelo. Tre luoghi c’eravamo indicati: il Vangelo, la cultura ebraica e la tradizione culturale araba.

Nel Vangelo il primo augurio che i messaggeri di Dio portano al mondo al momento della nascita di Gesù – Natale, del resto, ricorda proprio quest’avvenimento! – è «Pace sulla terra tra gli uomini, che sono amati da Dio». E la prima parola che Gesù dice quando incontra i suoi dopo il ‘risveglio’ dalla morte è «Pace a voi» (Luca 2,14 e 24,36). Il saluto che gli ebrei si scambiano quando s’incontrano, è Shālôm. E gli arabi si salutano dicendo Śalā’m. Parole, entrambe, che significano Pace.

 

Quest’anno il tema che ci è stato proposto per la giornata della pace è Educare i giovani alla giustizia e alla pace. È un pensiero profondo e nello stesso tempo un pensiero difficile. Profondo, perché è a tutti sufficientemente chiaro che non può esserci pace senza giustizia. Difficile, perché le situazioni di ingiustizia presenti in questo nostro mondo sono innumerevoli. Con una parola che nel vocabolario italiano non troviamo, ma che esprime il significato autentico della parola ‘in-numerevoli’, diremmo ‘in-contabili’ (= che non si possono contare). Tante esse sono!

 

Fame di giustizia. Nel Vangelo Gesù dichiara addirittura beati, cioè felici «coloro che hanno fame e sete di giustizia»: letteralmente il testo dice «gli affamati e assetati della giustizia». Poi spiega il perché: «Perché essi saranno saziati» (Matteo 5,6).

Noi sappiamo bene che la fame spinge a qualunque azione pur di trovare il cibo. Lo fanno gli animali e lo fanno gli uomini. È vero, oggi, nel nostro mondo occidentale, noi non abbiamo esperienza della fame: tutt’al più sappiamo cos’è l’appetito. Ma la fame è un’altra cosa. È qualcosa che ti fa mettere in campo tutte le forze. E se non trova una risposta ti porta alla morte.

Essere affamati della giustizia. È la condizione che sola può portarci a lavorare davvero per costruirla.

 

E dalla GIUSTIZIA la PACE.

 

In famiglia le ingiustizie fanno litigare. E uccidono la pace. Tra fratelli, con i genitori, tra coniugi. Quante famiglie si rompono per (vere o presunte) ingiustizie! Fratelli che non si parlano più perché l’uno è convinto che l’altro sia stato ‘trattato meglio’ dai genitori. Per un mobile in più o in meno, per un servizio di piatti lasciato a uno piuttosto che a un altro, per un anello, un pezzetto di casa o di terra che, sempre secondo qualcuno, vale meno di quello che ha ricevuto l’altro…

Nel mondo del lavoro le ingiustizie rendono impossibili le relazioni. Tra colleghi, con i superiori, con i collaboratori.

Tra i popoli le ingiustizie alimentano le ostilità, le guerre. Noi, i popoli ricchi, malati di obesità; loro, i poveri, malati di fame.

Perfino tra le religioni rischiamo di restare imprigionati in conflitti culturali, dimentichi che siamo ‘figli’ di uno stesso e unico Padre.

 

Steve Jobs, già in compagnia del cancro e in dialogo aperto con la morte, quindi anche con la Vita, rivolgendosi ai giovani il giorno della loro laurea, diceva: “Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che state per cominciare una nuova vita, auguro a tutti voi: stay hungry, stay foolish!”. Siate affamati, siate folli!

Lui lo diceva ai giovani nei confronti della vita. Noi ci permettiamo di coglierne la forza perché sappiamo che il mondo è affamato e assetato della giustizia. Che è la radice della pace.

È vero, per vivere affamati e assetati della giustizia, bisogna essere anche un po’ folli. Altrimenti i nostri ragionamenti, calcolati e costruiti ad uso e consumo del benessere e del nostro quieto vivere, ci rendono sazi. E con lo stomaco e la mente pieni, diventiamo incapaci di ascoltare il grido della nostra anima che ha fame di ritrovarsi nella beatitudine dei “costruttori di pace”.

Buon anno!