VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

27 nov 2011

È vita umana! (3)

Oggi cerchiamo di concludere, almeno per adesso, le nostre riflessioni sull’embrione e sulle cellule staminali embrionali.

C’eravamo lasciati dicendoci che il laboratorio con le sue macchine non può darci risposte su questioni di fondo che riguardano la vita. Nel nostro caso sappiamo bene che non può rispondere alla domanda con la quale ci stiamo misurando: se l’embrione è da considerare già un essere umano nelle primissime fasi del suo processo di crescita, o se invece è ‘soltanto’ un insieme di cellule, attive, ma che non possono ancora dirsi essere umano. Ci dicevamo che questa risposta compete all’uomo, con la sua capacità di analisi e di riflessione su quanto la ricerca scientifica gli mette a disposizione.

 

Il punto di vista della Corte di Giustizia Europea è chiaro: «Sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un embrione umano, dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano».

Proviamo noi, ora, a considerare due aspetti. Importanti, a mio parere, e utili per formulare una prima risposta. Una risposta, cioè, che possiamo darci allo stato attuale delle nostre conoscenze. Scientifiche e filosofiche.

 

Il primo aspetto ci è fornito dalla biologia.

Oggi sappiamo che l’embrione ha in sé tutte le potenzialità per progredire nel suo sviluppo fino a diventare un bambino. Nel suo processo di crescita, cioè, non acquisisce niente che non abbia già in sé stesso. La sua vita, nei nove mesi in cui abita l’utero materno, procede attraverso una relazione di reciprocità con la madre. Relazione in cui esso trova nel corpo materno ‘soltanto’ quell’ambiente che gli permette di crescere sano e di far sviluppare le sue potenzialità. Oggi sappiamo che nel momento in cui l’embrione arriva nell’utero, si attiva un processo di reciprocità tra lui e il corpo materno: esso può trovare lì un posto che gli permette di ‘connettersi’ con la madre e poterne ricevere quel nutrimento di cui ha bisogno per procedere nel suo sviluppo. È l’embrione che ha in sé tutto quanto gli serve per ‘costruire’ il piccolo bambino (che la medicina adesso chiama feto), la placenta, e il cordone che li collega per tutti i nove mesi necessari alla sua evoluzione.

È un dato importante questo. Perché l’ovulo femminile, da solo, non aveva in sé tutto quanto gli serviva per diventare un bambino. Né l’aveva lo spermatozoo maschile. Una volta, invece, che i due si fondono, ci troviamo di fronte ad una cosa che è sostanzialmente nuova: una cosa che ha in sé tutto il programma di una vita. Di una vita umana. Non avrà bisogno d’altro che di trovare il nutrimento necessario per crescere. Proprio come tutti noi, bambini e adulti.

 

Non solo. C’è un altro aspetto altrettanto straordinario. L’embrione impiantato nell’utero inizia un processo interattivo con il corpo materno al punto da diventare capace di ‘prendersi cura’ di sua madre. Sente di che cosa ha bisogno per nutrirsi, e sente di cosa ha bisogno sua madre, per lui e per lei stessa. In tutti i nove mesi, questa relazione è una relazione reciprocamente attiva.

Questo è quanto ci dice la biologia.

 

Ora guardiamo il secondo aspetto, che ci viene dalla psicologia.

Quando una donna scopre di essere incinta, noi diciamo subito che aspetta un bambino. Questo sentono la nostra mente e il nostro cuore. Non diciamo che ci sono delle cellule attive che stanno viaggiando verso l’utero o che si sono appena annidate o che si stanno moltiplicando. Che ci sia già un bambino lo sentiamo al punto tale che quando una gravidanza s’interrompe, per la coppia è un momento di dolore, di lutto. I genitori sentono che ‘hanno perso il loro bambino’.

Le nostre emozioni sono un dato importante. Scientificamente importante. Perché esse hanno un valore altamente significativo per la nostra vita. Pensate a quanto contano nella nostra vita di relazione: il dolore, il piacere, il desiderio colorano le nostre giornate e la nostra vita, e sono così potenti che diventano capaci di cambiarne la prospettiva.

 

Questi due aspetti – 1) il fatto che l’embrione ha già in sé tutte le potenzialità per diventare un bambino, e 2) la nostra sensibilità rispetto all’attesa di un bambino fin dai primi giorni di gravidanza – dovrebbero farci riflettere seriamente. Sono questi due pensieri, sostanzialmente – il primo preso dalla biologia, il secondo dalla psicologia – che secondo me dovrebbero farci concludere che un embrione è già un essere umano: un essere umano che è appena agli inizi del suo processo di sviluppo, ma che, come tale, va considerato e rispettato.

 

Al momento possiamo concludere dicendo che la ricerca sulle cellule staminali – questa grande scoperta dei nostri tempi – deve procedere. In caso contrario sarebbe una grande perdita. Deve procedere, però, potenziando lo studio delle staminali adulte e lasciando in pace le staminali embrionali che, allo stato delle cose, possono essere coltivate soltanto a costo della morte di embrioni umani.

(3. fine)

 

(1. La scienza ha un'anima?)

(2. Inizia una nuova vita?)