VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

18 set 2011

La verità di noi stessi

Ancora spettacoli di miseria da parte dei nostri politici! Miseria, neanche povertà. I più vecchi tra noi sanno bene la differenza tra queste due parole. Miseria, uguale totale assenza di valori fondamentali.

Non ho intenzione di parlare della manovra di risanamento. Non ne avrei la competenza. Poi penso che non sarebbe questo lo spazio corretto per entrare nel merito delle scelte tra spese ed entrate.

È un altro aspetto quello che voglio guardare con voi, e lo faccio proprio guidato dalle riflessioni che le scienze psicologiche ci permettono di fare nel momento in cui vogliamo muoverci verso la conoscenza delle persone. Conoscenza di noi stessi e conoscenza dei nostri simili.

 

Questa volta l’occasione ci è data da una nuova serie di conversazioni telefoniche che la stampa ci sta pian piano disvelando. Conversazioni ‘private’, si dice, ma fatte da uomini ‘pubblici’. Sappiamo bene che la materia è incandescente e altrettanto bene sappiamo che il pericolo di intromettersi nella vita privata degli altri è sempre in agguato. E ogni volta che lo facciamo, è altrettanto presente il pericolo di mancare, nel rispetto che ciascuno deve a ciascun altro, in una società democratica.

Quindi non entro neanche su quanto sia o non sia giusto che certe conversazioni siano rese pubbliche: è materia sulla quale, pur potendo ciascuno di noi fare le sue valutazioni, è importante non perdere di vista la complessità di tutti gli aspetti che dovremmo analizzare per poter dare una risposta adeguata a questo interrogativo.

 

Ma allora di cosa vuoi parlare? Direte.

Voglio parlare con voi in merito ad un’affermazione che ci sentiamo ripetere continuamente proprio da quegli stessi uomini della politica che si vedono coinvolti, più o meno direttamente, nelle conversazioni intercettate. Il loro pensiero dice più o meno così: “Quello che conta non è ciò che una persona (un politico, un ministro, un capo di governo) dice in una conversazione privata, con un amico o un collega: ciò che conta è quello che fa e dice in pubblico, nelle situazioni ufficiali. È lì che si vede ciò che una persona davvero pensa. È lì che si vedono i suoi valori di riferimento e le sue scelte. Di etica e di politica”. Poi si aggiunge: “A chi non è mai capitato di dire parolacce o di esprimere giudizi tranchant su qualcuno mentre parliamo al telefono tra amici?”.

 

Ecco. Questo è il punto. Qual è la verità di noi stessi, quella che facciamo vedere quando siamo con gli altri o quella che viviamo in casa nostra, nel nostro privato e nella nostra solitudine?

 

Loro sostengono che la verità di un uomo pubblico (= i suoi valori di riferimento) è quella che esprime in pubblico.

Lasciamo perdere, per ora, certi atteggiamenti di chi anche in pubblico non ci risparmia le sue volgarità con battute o barzellette che vorrebbero far ridere… Lo lasciamo perdere, perché se entriamo in questo campo, dovremmo usare categorie di pensiero che parlerebbero, nel migliore dei casi, di pura e semplice maleducazione e povertà culturale, in altri casi poi addirittura di segnali preoccupanti di disturbo mentale.

Parliamo qui, invece, della scissione tra pubblico e privato. Nella prospettiva di chiederci se è vero che sono soltanto i comportamenti e gli atteggiamenti che esprimiamo in pubblico che dicono la verità di noi stessi: ciò che noi siamo.

In altre parole: quale delle due aree esprime la verità di un uomo, quella pubblica o quella privata?

 

Quando nella psicologia ha fatto il suo ingresso la parola inconscio, questa ha portato una grande rivoluzione. L’uomo, che prima pensava di conoscere bene sé stesso anche nelle sue parti più segrete, ha dovuto ammettere che una qualche area della sua persona sfugge perfino alla sua mente e alla sua conoscenza. E ci siamo dovuti dire che noi siamo, certo, ciò che pensiamo e conosciamo di noi stessi, ma in noi abitano anche pensieri, sensazioni e desideri che sfuggono al nostro controllo consapevole.

 

Figuriamoci, allora, se possiamo sostenere che noi siamo soltanto ciò che esprimiamo quando siamo in pubblico! Certo, noi siamo quello che facciamo e diciamo quando siamo fuori casa, al lavoro, per esempio, o ad una festa o in una riunione, politica o sindacale o religiosa. Ma noi siamo anche quello che diciamo e facciamo quando ci ritroviamo con un amico, in una conversazione privata, con i nostri famigliari a casa nostra. Noi siamo perfino quello che pensiamo o facciamo quando siamo da soli, quando nessuno ci vede né ci può sentire.

Perché è così difficile riconoscerlo? Perché quando stiamo con gli altri, in pubblico, cerchiamo di indossare abiti più ‘civili’, cerchiamo di controllare certi nostri pensieri e certi nostri impulsi. E questo va bene. Ma non fermiamoci qui. Cerchiamo di guardare e di ascoltare anche la nostra parte più privata: sarà una ricchezza per noi poterla riconoscere. È la strada maestra per avvicinarci sempre più alla verità di noi stessi.

 

Cari uomini della politica, questo vale per noi cittadini comuni. Ma, ci dispiace dirvelo, questo vale anche per voi che, nonostante tutto, appartenete alla nostra stessa… specie! Anche voi siete ciò che apparite in pubblico e ciò che fate e dite nel privato. Anche la vostra vita privata, comprese le vostre conversazioni telefoniche, dice di voi ciò che voi siete: le vostre idee, le vostre scelte, i vostri valori. Possiamo discutere sull’opportunità di rendere pubbliche tante conversazioni, certo. Ma non possiamo ‘abbonarvi’ quello che dite nel privato come se anche questo non rispecchiasse ciò che voi siete.

 

Qui non è questione di destra o di sinistra. È la psicologia che ci aiuta a vedere che tutti noi siamo il nostro pubblico e il nostro privato.