VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

25 dic 2011

Il figlio di Dio e della terra

«Conoscevo Maria, la madre di Gesù, ancora prima che andasse sposa a Giuseppe, il falegname, quando nessuna di noi due era maritata. (…)

Quando Maria era incinta di Gesù, vagava per le colline e ritornava a sera con gli occhi colmi di pena e di bellezza.

E quando nacque Gesù – così mi hanno narrato – Maria disse a sua madre: “Sono un albero che nessuno ha potato. Bada tu a questo frutto”. Queste parole udì Marta, la levatrice.

Dopo tre giorni le feci visita. E c’era meraviglia nei suoi occhi, e palpitava il suo seno; e le braccia cingevano il figlio come la conchiglia custodisce la perla.

Noi tutti amavamo il bambino di Maria e ne avevamo cura, perché era ardente il suo essere e perché palpitava in sintonia con la vita. (…)

All’età di dodici anni salvò un cieco da un torrente, conducendolo sull’altra riva.

E con gratitudine il cieco gli chiese: “Chi sei, piccolo?”

E lui rispose: “Non sono piccolo. Io sono Gesù”

E chiese il cieco: “Chi è tuo padre?”

Rispose lui: “È Dio, mio padre”

E il cieco sorrise e disse ancora: “Ben detto, piccolo mio. Ma tua madre chi è?”

E Gesù rispose: “Non sono il piccolo tuo. E mia madre è la terra”

E il cieco disse: “Dunque mi avrebbe condotto in salvo sulla riva il figlio di Dio e della terra”

E rispose Gesù: “Ti condurrò dovunque tu voglia, e i miei occhi accompagneranno il tuo piede”.

E Gesù cresceva come un prezioso albero di palma nel nostro giardino».

 

Parole che nascono dalla fantasia di un poeta. O, forse meglio, dal suo cuore. Che sa ascoltare parole e voci che sfuggono alla nostra attenzione di superficie. Kahlil Gibran ci racconta le parole di Susannah di Nazareth, una vicina di Maria.

 

È una storia troppo grande per la nostra mente quella che ci raccontano coloro che hanno messo mano a scrivere il Vangelo di Gesù. Matteo, Marco, Luca e Giovanni, mi chiedo, certe volte, dove hanno trovato il coraggio per un’impresa così sovrumana. Raccontare di un uomo che chiama il suo insegnamento Vangelo e che, parlando di se stesso, dice di essere Dio con noi.

Vangelo significa buona notizia (dal greco èu = buono + ànghelos = notizia). E la buona notizia è questa: che Dio, per il grande amore che ha per noi, decide di rendersi presente tra noi e con noi in un modo che i nostri occhi e le nostre orecchie possano vederlo e ascoltarlo. E il nostro cuore sentirlo.

Progetto impensabile per la nostra mente. Incomprensibile, e al di là di ogni possibile fantasia.

Gli antichi greci si raccontavano che qualcuno degli dèi ogni tanto si rendeva presente tra gli umani. Poi però, dopo averne combinata qualcuna delle loro, se ne tornavano veloci nel loro Olimpo. Ma mai nessuno aveva immaginato una storia come quella di Gesù: un Dio Padre-e-Madre che, per amore, si rende presente in una forma ‘comprensibile’ agli uomini e ne condivide la vita in tutte le sue dimensioni. Di gioia e di dolore.

 

Questa, credo, è la difficoltà che la nostra mente incontra ogni volta che si ferma ad ascoltare questa storia.

È comprensibile per noi la felicità dell’incontro con la persona con cui desideriamo condividere la vita. Comprensibile il piacere e la gioia nel veder crescere un figlio. Comprensibile la soddisfazione di raggiungere un obiettivo per il quale abbiamo molto lavorato. Sono questi, in fondo, i nostri vangeli. Le nostre buone notizie.

Il Natale ogni anno arriva e ci scuote da questo ‘accomodamento’ nel quale ci collochiamo. Ci mette davanti la nascita di una persona che fatichiamo a vedere come uno di noi. Gesù. E ci dice che questa è LA Buona Notizia. Questo è IL Vangelo!

 

E noi abbiamo bisogno di immaginare questo Gesù e, insieme, la storia di sua madre e di suo padre. Le nostre menti ne hanno bisogno. Per poterlo incontrare dentro di noi. Per poterlo sentire uno di noi.

Le parole di questa donna, una vicina di Maria ci dice Gibran, rispondono in fondo a questo nostro bisogno. Cogliere l’umanità di persone che la tradizione e una lunga frequentazione di luoghi comuni rischiano di farci vedere come gli antichi greci o i nostri antenati romani vedevano i loro dèi: simili agli uomini, ma mille miglia lontani.

 

Perdere la dimensione umana di Maria e di Giuseppe, due giovani, lei poco più che dodicenne e lui di appena qualche anno più grande, coinvolti in una storia più grande di loro, incomprensibile ai loro occhi, significa negare proprio l’essenza della Buona Notizia: Dio entra nella storia, per camminare con noi, condividendo in pieno la nostra umanità. Con tutta la forza e tutto il limite. Tutto il piacere e tutta la fatica.

È che la nostra mente con troppa facilità cede al bisogno di costruire idoli. Prendiamo qualcuno e lo collochiamo su un piedistallo. Così la sua forza e il suo coraggio non ci mettono troppo in discussione. Noi non siamo così, diciamo. Poi aggiungiamo: ma loro sono loro, in fondo che problemi avevano, sono Gesù, la Madonna e San Giuseppe! E non ci accorgiamo che, così facendo, rischiamo di negare l’umanità di due giovani, Maria e Giuseppe, che, insieme al figlio Gesù, condividono la nostra stessa fatica nel vivere.

 

Il nostro Buon Natale! per sentirci in buona compagnia nel viaggio della vita. In compagnia di un Dio che, per dirci quanto ci ama, si fa uomo. Proprio come uno di noi.