VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

2 mag 2012

Prefazione di Federico Cardinali

PREFAZIONE

 

Non portare nell’animo l’idea, solitaria,
che la verità sia tua, e che niente altro sia vero.

(Sofocle, Antigone)

 

 

Questo libro non è un romanzo, o un saggio, da leggere dall’inizio alla fine. Esso contiene tutti gli articoli pubblicati su VOCE DELLA VALLESINA in questi primi tre anni di incontri con i lettori. Ogni articolo nasce in autonomia, anche se qualcuno si ricollega al precedente o al successivo. Un suggerimento che posso darvi è di leggere non più di un articolo in una giornata: leggere poco per riflettere un po’ sui pensieri che, insieme, possiamo condividere.

Nell’organizzare questa raccolta ho preferito conservare l’ordine cronologico in cui gli articoli sono usciti, dal luglio 2008 al dicembre 2010, e lasciarli nella loro forma originaria. Ho pensato a questa scelta per rispettare l’evoluzione dei pensieri e dei discorsi che si sono succeduti, di settimana in settimana.

Per facilitare la lettura e la consultazione del libro ho provato a costruire un INDICE PER ARGOMENTI, identificando cinque grandi temi dentro i quali ho raccolto tutti gli articoli, a seconda dell’argomento principale che nell’articolo viene toccato:

1. L’uomo, questo sconosciuto
2. Vita in famiglia
3. In dialogo con la vita e con la morte
4. Tra religione e spiritualità
5. L’uomo sociale e politico.

Troverete che qualche articolo è indicato in più di un argomento: i temi e le riflessioni che contiene si muovono su aree diverse che s’intersecano tra loro, come le tante strade che ogni giorno percorriamo per recarci da un luogo a un altro del nostro territorio.

 

* * *

 

Quando tre anni fa la Direttrice di Voce della Vallesina mi propose di curare una rubrica di psicologia sul nostro settimanale, fu per me una sorpresa. Mi chiedevo cosa c’entrasse una rubrica di questo genere su un settimanale come Voce. Poi mi chiedevo a cosa sarebbe servito, dato che in tutti i giornali e rotocalchi tutti parlano di psicologia. Non le dissi subito no, ma neanche sì. Ci pensai un po’.

Più ci pensavo, più crescevano in me i dubbi. Accanto, però, si faceva sentire anche una sorta di curiosità che stava diventando una sfida a provarci. Ne vedevo l’impegno e la fatica: per il tempo che mi avrebbe richiesto il dover scrivere ogni settimana, e perché cominciava a chiarirsi dentro di me che se avessi voluto fare un lavoro utile, avrei dovuto trovare un linguaggio che fosse nello stesso tempo corretto sul piano scientifico e semplice nella forma, comprensibile cioè ai lettori di un giornale che, in grande maggioranza, non sono ‘addetti ai lavori’.

 

Nacque poi il quesito sul titolo da dare a questa rubrica. La mente? Ma la mente non esaurisce tutta la realtà dell’essere umano. Il corpo e la mente? Ma del corpo se ne occupa già la medicina con tutte le sue specialità, e tra psicologia e medicina il dialogo a volte fa ancora fatica a farsi strada. E l’anima? Ma l’anima non è una faccenda che riguarda la religione?

Proprio in quel periodo stavo lavorando su due temi forti: l’esperienza della sofferenza e l’incontro con la morte. Mi rendevo sempre più conto che limitare lo sguardo alla sola mente, lasciando fuori campo le altre dimensioni dell’uomo, significava restringere il campo visivo e voler cogliere l’ampiezza di un bel panorama restando chiuso in un vicolo, chiuso di qua e di là dai muri delle case.

Così è nata l’idea di mettere come titolo LA MENTE E L’ANIMA. Il corpo era inevitabile che ci fosse: è così tanto presente nel nostro quotidiano che poteva anche non esserci nel titolo. Convinto che queste due dimensioni, accanto alla dimensione fisica che appunto sostiene il nostro corpo, potessero non solo dialogare, ma anche arricchirsi a vicenda e regalarsi la possibilità, ciascuna delle due, di cogliere quanto l’una da sola non avrebbe mai potuto fare. Mi sembrava così di essere arrivato in una posizione molto semplice, ma anche di un buon respiro. Come è bello e piacevole quando per lavorare riusciamo ad usare tutte e due le mani e ambedue i piedi per camminare.

                                                                 

Dopo questi tre anni d’incontri settimanali, ora sento di dover essere io a ringraziare: la Direttrice prima, e voi tutti, per quest’opportunità che mi avete offerto. Perché è certo una grande fatica, trovare gli argomenti e il tempo per scrivere, ma anche un bel dono quello che ho ricevuto: dialogare con voi è significato e significa dialogare prima di tutto con me stesso. Ascoltare una lettera che arriva o una voce al telefono o un incontro da persona a persona, significa sentire un richiamo a fermare i pensieri, a fare silenzio per ascoltarli. Per poi dare loro una forma e delle parole per esprimersi.

A conclusione di uno dei libri più ‘laici’ della Bibbia, un redattore ha messo queste parole: «Qoelet … ascoltò, meditò e compose un gran numero di massime. Cercò di trovare parole piacevoli e scrisse con onestà parole veritiere» (Qoelet 12, 9-10). Posso dire adesso che questo è stato il mio tentativo. E questo il mio desiderio.

 

Vorrei dire tante altre cose, ma preferisco salutarvi con parole che non sono mie ma di due maestri, appartenenti ad ambiti diversi e vissuti in epoche lontane tra loro. Uno psicoanalista britannico del secolo scorso e un filosofo e teologo di sedici secoli fa.

Scrive lo psicoanalista Wilfred Bion: «I metodi presentati in queste pagine non sono definitivi. Anche quando mi sono accorto che erano inadeguati, non sempre sono stato in grado di sostituirli con qualcosa di migliore. In questo mi sono trovato nella situazione dello scienziato che, consapevole che una teoria è sbagliata, seguita tuttavia a farvi ricorso perché non ne ha scoperta una più adeguata con cui sostituirla».

E S. Agostino nella premessa al suo De Trinitate scrive: «Chi infine, leggendo, dicesse: "Comprendo bene quanto qui si dice, ma tutto ciò non risponde a verità", si attenga fermamente alla sua opinione e contesti la mia, se può farlo. Se lo farà con amore e con verità e me lo farà anche sapere (se sarò ancora in vita), trarrò da questo mio lavoro abbondantissimo frutto. E se poi non potrà farlo con me, lo faccia con quanti potrà: è un mio desiderio ed io sarò contento».

 

Molte volte ci è capitato nei nostri incontri di riflettere sulle difficoltà del dialogo. Nella vita pubblica e in quella privata. Se il mio lavoro ha potuto alimentare nel vostro cuore il desiderio di coltivarlo - in famiglia, con gli amici, nella politica, nella chiesa - ne sono felice e mi dico che tanta fatica non è stata inutile.

 

 

Un ringraziamento tutto particolare devo a Gabriella Guidi, condirettrice dell’Istituto di Terapia Familiare di Ancona, che di volta in volta si è resa (e si rende) disponibile a leggere ogni mio articolo e a discuterlo con me prima che esso venga inviato al giornale.