VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

28 mar 2008

Tibet, la montagna e lo spirito

Dall’Olimpo dei greci al Sinai degli ebrei, dal Tabor al Golgota per i cristiani, dai vulcani dell’Africa alle cime eternamente innevate delle popolazioni himalayane, in tutti i miti e le religioni la montagna è il luogo della residenza degli dèi o, comunque, della loro manifestazione.

 

Due anni fa sono stato in Tibet. Un paese che noi occidentali viviamo ancora come un luogo pieno di fascino e di mistero. Una permanenza breve, purtroppo, solo 15 giorni. Lhasa, la capitale, era il mio ‘campo base’. Hanno riempito le mie giornate tibetane l’incontro con alcuni monasteri, luoghi di profonda spiritualità, e un lungo viaggio tra villaggi, fino al Nepal, con la foto di Mao che, ciondolando dallo specchietto del fuoristrada, ci accompagnava su strade impervie attraverso passi di montagna di oltre cinquemila metri.

 

E’ difficile questi giorni parlare del Tibet senza parlare dell’oppressione e della mancanza di libertà cui è sottoposto questo paese da cinquant’anni di occupazione cinese. Ma, grazie a Dio, ora pare che ci stiamo svegliando e la stampa e la politica dell’occidente si sono accorte di questa tragedia. E, finalmente, se ne riparla! Non è su questo, però, che oggi vorrei portare la nostra riflessione, quanto piuttosto sul senso e sul significato che sembra avere per noi un paese così lontano e così poco significativo sul piano politico ed economico.

 

Per noi occidentali il Tibet, il tetto del mondo, rappresenta ‘la montagna’, nel senso che dicevo sopra. Il paese dello spirito, il luogo dove possiamo immaginare che noi umani, appesantiti dalla terra, possiamo ‘salire’ per incontrare il divino, l’altro da noi con cui attivare un dialogo. Il luogo dove possiamo ‘sollevarci’ per guardare con un angolo visivo più ampio la vita di ogni giorno. Di fronte alla vita due atteggiamenti, apparentemente contraddittori, sembrano caratterizzare il nostro pensiero. Da una parte il timore e dall’altra il bisogno di coltivare una dimensione spirituale: quella dimensione che ci spinge a cercare il senso del nostro essere nel mondo. Che ci fa tenere aperta la domanda sul senso della vita. Anche quando non riusciamo a trovare subito la risposta.

 

Colmi di ogni ben di Dio, impegnati a soddisfare oltre misura ogni nostro bisogno - cibo, divertimenti, sesso, soldi -, in continuo, perenne e affannoso movimento... quando riusciamo a fermarci e ci ritroviamo da soli con noi stessi, è una sensazione di vuoto che ci viene incontro: tutto ciò che abitualmente riempie il nostro tempo si dissolve, lasciandoci soli, con un desiderio che non trova risposte. Diamo a questo nomi diversi: angoscia, depressione, solitudine, panico. Forse, più semplicemente, potremmo chiamarlo ‘lontananza’ da noi stessi, dalla vita, dalla consapevolezza di vivere.

 

Altre volte ci aggrappiamo alla religione. Che però, troppo spesso, è fatta di pratiche da espletare, di precetti da osservare, di proibizioni da rispettare. Come se tutto fosse fuori di noi. E il divino, Colui che ‘scende sulla montagna’ per incontrare l’uomo e dialogare con lui in un incontro amorevole, lo riduciamo a un guardiano severo, lontano, pronto solo a punire ogni trasgressione.

Gesù di Nazareth è ‘sceso’ per farci conoscere il divino nella sua dimensione di padre e madre: Uno che si prende cura di noi, che abita in mezzo a noi, più ancora, che abita nel nostro cuore. E’ lì che possiamo trovarlo, consapevoli che trovare Lui è trovare noi stessi.

 

Pur nella differenza sostanziale che definisce il cristianesimo e il buddismo, possiamo guardare qui un aspetto che ci accomuna. Siddharta, il Buddha (buddha significa ‘illuminato’, colui che ha raggiunto l’illuminazione, cioè la liberazione dalla sofferenza) insegna che il cammino di ogni uomo è quello di ritrovare la dimensione di ‘buddha’ (cioè l’illuminazione) dentro di sé. Ri-trovare noi stessi è ritrovare il senso della vita.

E cos’è questo se non trovare il divino in noi? Amore e non-violenza parlano la stessa lingua.

 

Due pensieri, allora. Sul terreno della politica continuiamo a sostenere il cammino di liberazione che il popolo tibetano sta faticosamente cercando di portare avanti. Su un piano più personale, esistenziale, quello della ricerca spirituale, possiamo dire che il Tibet, ‘la montagna’, abbiamo bisogno di trovarlo anche qui, dentro di noi.