VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

14 feb 2010

Il prete, uno di noi

Il giorno di Natale da bravi cristiani siamo andati a messa. Il nostro parroco ha saputo trovare proprio le parole giuste per parlarci dell’amore di Dio che manda nel mondo il Figlio. Le sue parole mi hanno colpita, ma ad avermi colpita è stata anche un’altra cosa: quando ci siamo salutati, dopo la messa, ho colto un velo di tristezza nel suo sguardo. Tornando a casa ne parlavo con mio marito e anche lui l’aveva notato. Strano, ci dicevamo: quelle parole così belle che aveva saputo dirci, era come se a lui non portassero quella serenità che invece avevano portato a noi. Ci dev’essere qualcosa che mi sfugge… Forse pretendo troppo dal nostro sacerdote?

Annachiara G.

 

Cara Annachiara, intanto devo dirle che mi pare una bella cosa che siete stati capaci di osservare lo sguardo del vostro sacerdote e cogliervi, almeno in parte, il suo stato d’animo. Non sappiamo quali pensieri lui potesse avere, quel giorno, quali preoccupazioni potessero occupare la sua mente e renderlo triste. Nonostante le parole di luce e di gioia che aveva saputo offrire a voi e a tutte le persone che l’avevano incontrato per la messa.

Le sue riflessioni mi portano, comunque, a proporre a lei e ai nostri amici lettori una domanda.

 

Mi chiedo se, quando guardiamo i sacerdoti, proviamo mai a guardarli anche nella loro dimensione di uomini. Persone che vivono la vita, con le difficoltà e le contraddizioni di qualsiasi altro essere umano. O se invece li collochiamo sempre (o quasi) su un altro piano, un piedistallo, lontani dalla realtà della vita quotidiana.

Il mio timore è che troppo spesso la distrazione o l’abitudine ci rendono difficile ascoltare i momenti di dolore e di sofferenza che possono accompagnare anche la vita di un prete. Siamo abituati a vederlo lì, nelle nostre chiese, la domenica, o qualche altra rara volta, ma non abbiamo il tempo o l’attenzione per chiederci come starà quando noi non lo vediamo. Quali saranno i pensieri e gli interrogativi che abitano la sua mente. Le preoccupazioni che anche lui, uomo-tra-gli-uomini, può incontrare nei diversi momenti della sua vita.

 

Le scienze psicologiche ci dicono che esiste nella nostra mente un processo nel quale la mente stessa, in certi momenti, si rifugia: lo chiamiamo idealizzazione. Che significa? Significa che noi guardiamo una persona, o una categoria di persone, e la collochiamo come su un altro piano, un piano diverso da quello in cui noi ci troviamo a vivere. Come se questa persona vivesse in un’altra realtà, in un altro mondo. Una volta messo lì, su un piedistallo, poi gli chiediamo di essere ‘diverso’ da noi: più buono, più bravo, più onesto, più, più… perfino più felice. Noi possiamo anche fare qualche sbaglio nella vita, lui no; noi possiamo anche imbrogliare qualche volta, lui no; noi possiamo anche incontrare momenti difficili e duri nella vita, lui no. Lui non è uno di noi!

 

Non vi pare che tanto spesso guardiamo i nostri sacerdoti come se fossero esseri di un altro mondo, come se provenissero da un altro pianeta?

Diciamo, infatti: “Ma lui è un prete!”. Come se dicessimo: lui non è un uomo come noi, lui ha la fede, lui ha l’amore di Dio. Poi… che problemi ha? Non ha mica una famiglia da mantenere, i figli che lo fanno combattere tutti i giorni, la ditta che lo licenzia. E via di questo passo.

 

Possiamo rifletterci un momento su questi nostri pensieri?

 

Il lavoro. È vero, un prete non rischia di perdere il posto di lavoro: sono tanto pochi! Ma non vive certo nell’oro: se non fa un altro lavoro, per esempio l’insegnante, il suo è sì e no lo stipendio di un operario.

 

Le preoccupazioni per la famiglia. È vero, lui non ha una famiglia da mantenere. Ma forse non pensiamo che non avere una famiglia significa anche non avere delle persone vicino, una moglie, dei figli che, se pure ti fanno faticare, ti permettono anche di vivere momenti di serenità, di affetto, di gioia. Non abbiamo paura di fare questa riflessione: all’interno della chiesa (= il popolo di Dio) se ne parla con sufficiente serenità. Anche se ancora non è facile poterne parlare con quella necessaria libertà di pensiero che un tema così importante meriterebbe. Ma tra noi, sottovoce, ce lo possiamo dire.

 

La fede. Certo, il prete è uomo di fede. Suo è il compito di essere guida spirituale per le persone che gli sono affidate. Guida nella preghiera. Nell’ascolto della Sua parola. Mediatore tra Dio e gli uomini nei sacramenti. E’ a lui che il Signore affida il compito di ‘ricordarci’ che il Suo amore non ci abbandona mai, che in ogni momento noi siamo fra le Sue braccia.

Ma l’amore di Dio non arriva con una cartolina o una raccomandata nella cassetta delle lettere. Neanche per il prete. Il cuore umano coglie l’amore di Dio, prima di tutto attraverso l’amore umano. Certo che il Signore può seguire anche strade a noi incomprensibili - strade che sfuggono alla comprensione della mente (quindi anche delle scienze umane, come la psicologia). Ma normalmente è attraverso l’amore e la vicinanza degli altri, quelli che incontriamo nella vita di ogni giorno, che il nostro cuore sente e sperimenta l’amore e l’affetto di Dio, padre e madre di tutti.

 

Vede, Annachiara, sono soltanto alcune riflessioni quelle che abbiamo fatto. Se proviamo ad ascoltarle, penso che possono aiutarci ad essere un po’ più vicini ai preti, e a sentirceli più vicini. Più uno-di-noi. E quando negli occhi del nostro sacerdote, come lei dice, dovessimo cogliere un “velo di tristezza” o di preoccupazione, possiamo anche avvicinarci e chiedergli come sta. Consapevoli che tutti, preti compresi, siamo dalla stessa parte: quella di esseri umani che vivono su questa terra. E la cui vita, non di rado, ha dei buoni tratti in salita.

 

 

*** Questo pezzo è la revisione di un altro, Il prete, un uomo, che la direzione del settimanale ha ritenuto di non poter pubblicare