VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

25 dic 2010

Buon Natale!

«A fine estate, a mietiture e vendemmie fatte, fummo sposi.

A Nazaret si celebrano in questo tempo molti matrimoni e si moltiplicano gli inviti.

Ma non si può ballare a due feste di nozze contemporaneamente, così gli invitati non vennero alla nostra. Solo parenti stretti e nessuno di più, alle nozze della vergine incinta.

Iosef era serio ma il suo corpo sorrideva per lui.

Mi strinse la mano sotto la tenda stesa del baldacchino sbattuto dal vento. La sua mano aspettata che mi aveva protetto, non mi aveva accusato, non aveva sollevato la prima pietra che spetta al marito dell’adultera, la sua mano ispessita di lavoro e di schegge: tremava intorno alla mia che riposava finalmente chiusa dentro la sua.

[…]

“Miriàm, sai cos’è la grazia?”

“Non di preciso”, risposi.

“Non è un’andatura attraente, non è il portamento elevato di certe nostre donne bene in mostra.

È la forza sovrumana di affrontare il mondo da soli senza sforzo, sfidarlo a duello tutto intero senza neanche spettinarsi.

Non è femminile, è dote di profeti.

È un dono e tu l’hai avuto. Chi lo possiede è affrancato da ogni timore.

L’ho visto su di te la sera dell’incontro e da allora l’hai addosso.

Tu sei piena di grazia. Intorno a te c’è una barriera di grazia, una fortezza. Tu la spargi, Miriàm: pure su di me”.

Erano parole da meritarsi abbracci.

Restammo sdraiati senza una carezza.

Ci pensai un poco e risposi per gioco: “Tu sei innamorato cotto, Iosef”».

 

Sono parole e pensieri che Erri De Luca ascolta da Maria e Giuseppe (Miriàm e Iosef, nella lingua ebraica). Sono parole che ci raccontano momenti della vita di due giovani che hanno deciso di unire la loro vita. Due giovani di duemila anni fa. Con una storia difficile. Una gravidanza inaspettata e inspiegabile li mette l’uno di fronte all’altra, disorientati, alla ricerca di una strada da percorrere. Maria e Giuseppe, così ci raccontano i Vangeli, iniziano in salita la loro storia di famiglia.

Ho preso in prestito queste parole, perché i poeti e gli scrittori hanno un dono particolare dello spirito per cogliere i sentimenti profondi e segreti del cuore. E sanno trovare parole che gli scienziati, gli studiosi dell’animo umano, fanno fatica ad ascoltare.

 

Ho voluto prendere queste parole per chiedere loro un aiuto. Un aiuto grande. Quello di farci ritrovare la speranza.

In quest’ultimo tempo troppe volte nei nostri incontri settimanali abbiamo ascoltato storie tristi, storie di dolore. Storie che portavano tutto il peso della sofferenza di giovani coppie in crisi. Storie di bambini dimenticati da genitori troppo presi da loro stessi e dalle loro difficoltà.

 

Siamo arrivati a Natale. La fede – ricordate? Ne abbiamo parlato proprio la settimana scorsa – la fede, dicevo, ci mette davanti ad un evento troppo grande per essere colto dal nostro pensiero. La mente si perde quando cerca di comprendere.

 

Gesù di Nazareth è l’uomo di duemila anni fa che ha stravolto la storia. Giovane trentenne, ucciso perché insegnava che l’uomo viene prima della legge, che l’uomo è più importante di qualsiasi regola e struttura. Insegnava che ogni uomo è figlio di Dio. Le leggi, le tradizioni, le regole, le istituzioni sono soltanto degli strumenti, servono a indicare la strada: la strada dell’Amore.

 

Figlio dell’uomo’ si faceva chiamare. Perché la sua umanità l’ha vissuta fino in fondo. Fino in fondo è stato capace di prendersi cura dell’uomo. Delle sue povertà, dei suoi limiti. Diceva che non hanno bisogno del medico quelli che sono sani, ma chi è malato. E lui era questo ‘medico’ che sapeva mettere la medicina della sua parola sulle ferite dell’anima, ferita nella fatica di vivere.

Gesù, figlio dell’uomo, lo guardiamo con ammirazione. Per la sua forza. Per la coerenza con cui ha saputo vivere, al punto da preferire la morte al tradimento dei suoi valori.

Un grande Maestro!

 

Ma Gesù di Nazareth ci ha detto che lui è anche il Figlio di Dio. E qui il nostro pensiero si ferma. Perché un Dio-Uomo è impensabile per la nostra mente.

Ma credo che proprio questa è la grandezza di un Padre che sa sorprendere i suoi figli. Chi sa, forse ci teneva così tanto che lo potessimo conoscere e che potessimo sentirlo più vicino, che a un certo punto deve essersi ‘reso conto’ che solo suo Figlio poteva parlarcene in modo appropriato. E ce l’ha mandato!

Per questo la Bibbia lo chiama Dio-con-noi (in ebraico: immanu (= con noi) + èl (= Dio); da qui il nome italiano Emanuele).

Perché ci terrà così tanto a noi? Sembra proprio che non possa fare a meno di prendersi cura di noi. Di amarci. Da vero Padre-e-Madre con i suoi figli. Tutti i suoi figli.

 

Come possiamo dirci BUON NATALE?

Dentro quest’abbraccio amorevole del Padre, proviamo a dircelo sentendoci in buona compagnia. In compagnia di Maria e Giuseppe, anche loro affaticati dalle prove della vita. In compagnia di Gesù che, se pure Figlio-di-Dio, la sua bella croce se l’è dovuta portare, anche lui, fino in fondo.

Abbiamo dei ‘buoni’ compagni di strada.

Allora Buon Natale! può significare anche Buon viaggio!

Il viaggio della vita.