VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

8 nov 2009

Novembre. Se non ci fosse…

Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Inventare un tempo in cui possiamo fermarci a riflettere. Riflettere sulla vita. Perché pensare alla morte significa pensare alla vita.

Questi giorni ci ritroviamo nei cimiteri. Con i nostri morti. In realtà ci ritroviamo con noi stessi, con i nostri pensieri. Se possiamo permetterci di ascoltarli.

 

Quali pensieri?

 

Proviamo a chiederci cosa andiamo a cercare al cimitero. Un incontro con coloro che hanno vissuto prima di noi questa dimensione della vita che noi ancora stiamo attraversando? Ma loro non sono lì. Lo sappiamo bene. Lì c’è quella parte di loro che ormai ha esaurito la sua funzione: il corpo fatto materia.

Altre volte abbiamo riflettuto insieme sulla relazione tra la materia (che noi chiamiamo corpo) e l’energia (che nel nostro linguaggio diventa anima). Ci siamo detti come queste, la materia e l’energia, non sono che aspetti diversi della medesima realtà. Che è la vita. Questo è la scienza che ce lo insegna, che, cioè, ci dà gli strumenti per comprenderlo.

Ma, nonostante queste spiegazioni, dotte e affascinanti, rimane tutto intero, nelle nostre anime, il mistero della relazione tra la vita e la morte.

 

La scienza, dicevo. Ma anche la scienza si ferma di fronte alla domanda di fondo che abita le radici della nostra anima: perché c’è la morte nel mondo? E perché c’è la vita? Qual è il senso del vivere e del morire? Sembrano due realtà opposte, in contraddizione l’una con l’altra.

Ma è proprio così? E’ la contraddizione il loro legame, o quello che a noi appare come contraddizione, contrapposizione, in fondo sono solo due aspetti della medesima realtà, due modi diversi di presentarsi, due modalità che si susseguono l’una dopo l’altra, in un fluire continuo?

Ma non è questo il fluire della vita?

La fisica ci dice che tutto ciò che esiste è immerso in un movimento continuo, incessante. Vi ricordate? Ce l’eravamo detti anche in un’altra occasione (nel maggio scorso, mentre riflettevamo sulla natura dell’anima).

 

Chi sa, credo che dovremmo provare a dirci che c’è la morte perché c’è la vita. E che proprio il suo fluire continuo richiede che essa si manifesti in questa doppia faccia: dalla vita alla morte, dalla morte alla vita. Ma se è così, allora dovremmo anche provare a dirci che la morte non è non-vita, ma solo una modalità diversa che la vita assume per esserci.

 

Halloween! Direte: “Che c’entra Halloween?”. E forse avete ragione a farvi questa domanda. Perché non è una festa (festa?) che ci appartiene, che appartiene alla nostra storia e alla nostra cultura. Mah! Interessi commerciali e una certa ignoranza culturale hanno fatto sì che ce la dobbiamo sorbettare…

E, visto che ormai c’è, vediamo se ci può essere utile per una riflessione. Io ci provo. (Una parentesi per dire una parola agli insegnanti, che sono maestri di vita per i loro alunni. Sarebbe bello che nelle nostre scuole, soprattutto con i bambini, gli insegnanti aiutassero i loro alunni a riflettere anche sulle feste, come su ogni altro momento di vita. Se non facciamo questo, cari colleghi, diventiamo solo trasmettitori di nozioni. E, oggi come oggi, potremmo diventare una brutta copia di internet - che, di nozioni, ne sa certo più di noi!)

 

Dunque Halloween. Intanto entriamo nella parola. Halloween è una forma contratta che comprende tre parole: all (= tutto) + hallow (= santo) + eve (= vigilia). Sono parole della lingua inglese. Perché è dalla tradizione anglosassone che deriva. Il suo significato, quindi, è semplicemente la vigilia di Tutti i Santi. La festa che noi cristiani celebriamo il 1° novembre.

In realtà la sua origine sembra essere ancora più lontana nel tempo, più antica ancora della festa cristiana di Tutti i Santi: le sue radici le possiamo ritrovare in un’antica festività celtica, il Samhain (= passaggio). Questo era il giorno di passaggio tra la stagione calda e la stagione fredda, ed era il giorno in cui in cui si credeva possibile attraversare il confine tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi.

 

Vedete, da sempre la domanda sulla vita e la morte ha accompagnato l’umanità. Gli uomini di tutti i tempi e di tutte le culture si sono interrogati sul senso del loro rapporto indissolubile, e sul significato che può avere per noi il fatto che, da sempre, esse si presentano inscindibilmente legate.

Ci possiamo scommettere che questo interrogativo continuerà ad accompagnarci per lungo tempo ancora. Per tutto il tempo in cui la specie umana continuerà a vivere sulla terra.

 

Proviamo allora a non avere paura di tenerla aperta, questa domanda. La teniamo aperta con noi stessi. Quando siamo da soli. Quando siamo in compagnia di altre persone che non si lasciano vincere dalla paura o dal panico di fronte al pensiero della morte e accettano, insieme, di scambiarci dei pensieri. Teniamola aperta anche con i nostri cari defunti che ci hanno lasciato qui, in questa dimensione della vita, e stanno continuando la loro vita, insieme con noi, in una dimensione e in un ‘mondo’ che noi ancora non conosciamo.

 

Se ci lasciamo accompagnare da questa domanda, allora possiamo essere certi che, almeno noi, non corriamo il rischio di fare una festa con… le zucche vuote!