VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

15 nov 2009

La sua mano sulla spalla

Questi giorni si è parlato molto di crocifisso. Avete sentito? Bisogna togliere il crocifisso dalle scuole, dice l’Europa. Polemiche a non finire. Quasi si trattasse di un simbolo di partito: cioè del simbolo di una parte. Vi ricordate quando, qualche anno fa, i sottopartiti nati dal PCI si contendevano la falce-e-martello? Quando i sottopartiti nati dalla DC si contendevano lo scudo-crociato? E quelli di destra la fiamma tricolore? Mi sembrava di essere ritornato a quei tempi, ascoltando certe dichiarazioni: di tanti nostri politici, perfino di alcuni uomini di chiesa! Il crocifisso ridotto a simbolo di parte. Che peccato.

Che fine ha fatto, per noi cristiani, Gesù di Nazareth che sulla croce - simbolo della “civiltà” di Roma – ha dovuto lasciare la sua vita di giovane uomo?

Oggi vi invito ad ascoltare, insieme con me, le parole che Kahlil Gibran, un poeta libanese vissuto nella prima metà del 1900, fa dire a Simone di Cirene: l’uomo che, secondo i Vangeli, ha aiutato Gesù a portare la croce sul Calvario.

 

Ero in cammino nei campi quando lo vidi: portava la croce e lo seguiva una gran folla.

Anch’io allora presi a camminare al suo fianco.

Più di una volta la croce che portava lo costrinse a fermarsi, perché il suo corpo era stremato.

Allora mi si avvicinò un soldato romano e mi disse: "Tu che sei saldo e robusto, porta la croce di quest’uomo". A queste parole il cuore mi si gonfiò nel petto e provai gratitudine.

E portai la croce.

Era pesante, fatta di pioppo impregnato di piogge invernali.

E Gesù mi guardò. Il sudore della fronte gli scorreva sulla barba.

Allora mi guardò, e disse: "Bevi anche tu questo calice? Vi accosterai le labbra, insieme a me, fino alla fine del tempo".

Così dicendo, pose la mano sulla mia spalla libera. E procedemmo insieme verso la collina del Cranio.

Ma io non sentivo più il peso della croce. Sentivo solo la sua mano. Come ala di uccello sulla mia spalla.

E arrivammo in cima alla collina. E là dovevano crocifiggerlo.

 

Fu allora che avvertii il peso della croce.

Non disse parola mentre gli conficcavano i chiodi nelle mani e nei piedi, e dalle sue labbra non uscì lamento.

E non tremarono le sue membra sotto il martello.

Sembrava quasi che le sue mani e i suoi piedi fossero morti, per rivivere solo nel bagno di sangue. E lui sembrava desiderare quei chiodi, come un principe desidera lo scettro, e sembrava implorare che lo innalzassero alle vette.

Il mio cuore non lo compiangeva: era troppo preso da meraviglia.

 

Ora, l’uomo al quale ho portato la croce è divenuto la mia croce.

Se mi dicessero ancora "Porta la croce di quest’uomo", io la porterei fino a quando la strada si chiudesse nel sepolcro.

Ma gli chiederei di tenermi la mano sulla spalla.

 

Accadde molti anni fa. E ancora oggi, seguendo i solchi del campo, e in quel sopore che precede il sonno, rivolgo spesso il pensiero a quell’uomo che amo.

E sento la sua mano alata qui, sulla spalla sinistra.

 

Vi confesso una cosa. Ogni volta che leggo questa pagina il mio cuore si commuove. E spesso, molto spesso, nei momenti di difficoltà, quando il dolore mi sembra ingiusto e troppo pesante, mi sorprendo a farGli questa preghiera. Che mi tenga la Sua mano sulla spalla libera, perché il peso della croce che sta sull’altra sia accompagnato dalla leggerezza e dalla soavità della sua mano.