VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

24 mag 2009

Connessi o disconnessi?

Qualche sera fa ero in casa di amici. Ci mettiamo a cena. Con noi c’è anche Roberta, la figlia quindicenne. Vedo che Roberta spesso manovra con le mani sotto il tavolo, per poi riprendere a mangiare, insieme con noi. Che succede? Mi spiega Grazia che la figlia ha fatto una di quelle promozioni con i cento messaggi quotidiani gratuiti. Poi aggiunge: “Ma lei ne manda di sicuro duecento!”. Ecco cos’era: il telefonino. “Ma non si sentiva nessun segnale” dico, “Certo, l’ho silenziato, ti pare? Non sta bene farlo suonare continuamente” mi risponde sorridendo. E pure meravigliata che ho fatto quest’osservazione, perché queste cose dovrei capirle al volo!

Dopo questa dotta spiegazione sul nuovo galateo - quello che prevede che far suonare il telefonino a cena è segno di scarsa educazione, mentre continuare a ricevere e mandare messaggi è un comportamento civile e corretto - la cena continua e riprende la conversazione di prima. Ma nella mia mente ogni tanto si fa sentire una domanda: “Con chi starà Roberta, adesso?”. Il suo corpo è qui con noi, ogni tanto gli fa pure mangiare qualcosa. Ma la sua mente?

Quando poi, finita la serata, ci salutiamo, le chiedo a che ora spegne il telefonino, la sera. Quando va a letto? Mi guarda come se avessi detto un’altra corbelleria da uomo delle caverne e mi dice: “Ma non lo spengo di notte. Mai!”.

 

Giovanni e Luisa, due genitori sulla quarantina, mi raccontano che i figli, quattordici e dodici anni, durante i pasti mettono il telefonino sopra il tavolo, pronti sempre a ricevere e rispondere. Anche a loro chiedo a che ora si spegne il cellulare la sera. Non lo sanno. Aggiungono, però, che quando i ragazzi vanno a dormire, ciascuno nella sua camera, il telefonino è acceso e chi sa per quanto tempo continuano a messaggiare. - Nota bene: il correttore automatico del computer continua a dire che questa parola è sbagliata. Non vuole capire che messaggiare è come respirare, mangiare! Vuoi vedere che se scrivo studiare mi dice che la parola è corretta? Quanto sei vecchio, mio povero pc!

 

Già vi sento: “Ma questi sono ragazzi, cosa pretendi? Ci sono nati con il telefonino in tasca! Loro sono tecnologici, mica vecchi come noi!”. E chi sa quanto vi dareste da fare per cercare di… farmi capire.

 

Bene. Nel nostro Istituto, nei corsi di specializzazione in psicoterapia, abbiamo introdotto una regola: durante il tempo delle lezioni i telefonini restano spenti. Gli specializzandi sono giovani adulti, fra i trenta e i quarant’anni, tutti professionisti, psicologi e medici. Certo, le prime volte un po’ di disagio c’era. Dicevano di sentirsi ‘nudi’ senza il telefonino acceso. Ora la cosa è del tutto naturale. Ah, se gli allievi devono spegnere il telefonino, anche noi professori facciamo altrettanto. Mi pare ovvio!

Mi dicono che nelle nostre scuole gli alunni tengono il telefonino acceso. Alla mia meraviglia mi rispondono subito che lo tengono acceso anche gli insegnanti. Sempre connessi. Ma connessi con chi?

Vuoi vedere che viviamo connessi con chi non c’è e non ci accorgiamo di chi ci sta vicino, magari seduto di fianco a noi, sullo stesso tavolo, a mangiare con noi o sul divano a guardare la tv? Connessione virtuale, diciamo. Il mondo virtuale. E il mondo reale?

 

Oggi ci lasciamo con due domande. Una con gli insegnanti e una con i genitori. Partendo dal presupposto che sia gli uni che gli altri sono educatori. Siamo, noi adulti, gli educatori delle giovani generazioni.

 

A scuola. I nostri ragazzi hanno bisogno di essere aiutati a coltivare la capacità di stare con sé stessi. Sono circondati da una marea di stimoli. Ininterrottamente. Osservate questa parola: è tanto lunga quanto espressiva di una realtà. I-nin-ter-rot-ta-men-te. Sembra che non finisca mai. Come non finisce mai il mare di stimoli che bombardano il nostro cervello. E lui deve faticare per prestare attenzione a ciò che sta facendo. Un cervello bombardato da tanti stimoli fa tanta fatica. Deve ricevere tutto quello che gli arriva; deve attivare le sue energie per porre attenzione a ciò che dobbiamo fare in quel momento; ma deve anche investire gran parte delle sue energie nel difendersi da tutti quegli stimoli che lo distraggono. Non sarebbe bello, e prezioso, se la scuola potesse diventare anche il luogo dove si impara a lasciare ‘fuori’ dal campo percettivo ciò che non serve in quel momento e a prestare tutta l’attenzione a ciò che stiamo facendo?

 

In famiglia. Cari genitori, chi paga le ricariche? Abbiamo la forza, noi genitori-educatori, di chiedere ai figli di pagarsi le ricariche con i loro soldi, quelli della paghetta settimanale? O questa spesa esula dall’area dell’autonomia? Ad avere una buona gestione delle nostre finanze si impara da piccoli. Non è sano che i nostri figli abbiano tutto quello che chiedono, senza che sentano la fatica che fanno i genitori per assicurare loro ciò di cui hanno bisogno.

 

In ultimo, una domanda tra adulti. Noi a che ora spegniamo il nostro telefonino? Quando siamo a tavola con i nostri figli dove lo teniamo? Siamo disponibili a chiacchierare con loro, delle loro cose, di com’è andata la giornata? O anche noi siamo lì con il corpo, ma la nostra testa è connessa altrove: con la tv sempre accesa, col telefonino sopra il tavolo, con internet che ci aspetta?

Se perdiamo la connessione con i nostri familiari - la moglie, il marito, i figli - come facciamo a non perderci? E se ci perdiamo, come facciamo poi a ritrovarci?