16 nov 2008
Un piccolo grande maestro (1)
Volevo raccontarle una cosa che mi è capitata e che ha sconvolto la mia vita. Sono un uomo di cinquant’anni e ho due figli. Tre anni fa mio figlio ha avuto un bambino. Come può immaginare è stata una cosa straordinaria la nascita di questo nipotino, ma oggi posso dire che la cosa ancora più straordinaria è stata la sua storia. In tre anni di vita Alessio ha già subìto tre interventi chirurgici nel tentativo di asportare un tumore che l’accompagna fin dalla nascita, e ancora non è finita.
Ma la cosa che voglio dirle è che Alessio mi ha insegnato a guardare la vita con altri occhi. Prima mi perdevo dietro a mille questioni: le cose che avevo non mi bastavano mai, guardavo con invidia chi guadagnava più di me, se qualcuno mi faceva un torto ero tutto preso dal fargliela pagare ad ogni costo, e tanto altro… Questo bambino mi ha fatto riscoprire cosa significa essere un padre: quanto ero stato distratto prima con i miei figli! Mi capita, parlando con gli amici, di dire che Alessio, con tutta la sua storia di malattia, è stato il più grande dono che la vita mi ha fatto. Loro mi guardano esterrefatti, come se fossi un marziano. Lo so che non possono capire: anche io, se tre anni fa mi avessero detto che avrei avuto un nipotino con un problema così grosso, penso che mi sarei sparato un colpo in testa. Oggi ringrazio la vita per un dono così grande. Questo non vuol dire che non sono preoccupato, io con tutta la famiglia. Può immaginare l’ansia ogni volta che dobbiamo rifare gli esami di controllo…
Le chiedo: non sono normale se ragiono così? Gli altri mi guardano davvero in modo strano, come se fossi fuori di testa…
Roberto G.
Caro Roberto, penso che lei non è affatto ‘fuori di testa’. Lei è un uomo che sta provando ad ascoltare gli insegnamenti che la vita, la nostra grande maestra, ha deciso di offrirle.
Nessuno di noi cerca la sofferenza per la sofferenza: sarebbe stolto. Ma credo sarebbe altrettanto stolto non guardare ciò che la vita ci mette davanti e voler per forza guardare altrove. Tante volte ci chiediamo il senso di quello che ci capita. Ma ciò che più colpisce è che questa domanda riusciamo a farcela soltanto quando l’esperienza che viviamo è incorniciata dalla sofferenza.
Quando viviamo nella gioia, quando il nostro cuore è colorato di felicità, non ci chiediamo il perché, non ringraziamo la vita - che chiamiamo Dio, se siamo credenti. Quando invece è il dolore che invade l’anima, allora ci fermiamo a chiederci la ragione di tale sofferenza. E il primo pensiero diventa ‘perché proprio a me?’. E siamo pronti a ribellarci, a imprecare perfino. Non è questo un segno di quanto siamo superficiali? Sembra che solo la sofferenza ci rende capaci di fermarci, e dialogare con noi stessi e con la vita.
Forse, però, è stato sempre così. Un saggio, vissuto oltre duemiladuecento anni fa, aveva scritto: “Insegna più la sofferenza che l’allegria…” (Qoelet). E un poeta indiano, vissuto nella prima metà del secolo scorso, scriveva: “Cerca la ragione della tua esistenza nella fiamma della lampada del dolore: forse vi troverai un tesoro eterno” (Tagore).
Non so bene che cosa lei, Roberto, debba imparare in questa vita. Ma sembra che stia davvero imparando qualcosa di grande se i suoi occhi sono capaci, ora, di ampliare il campo visivo al punto tale da ridimensionare tante questioni che prima sembravano così importanti. E che continuano a sconvolgere tante persone che si perdono dietro a vere e proprie meschinità. (Pensi a quanti di noi si lasciano rovinare l’esistenza da ‘problemi’ come quelli che lei accennava: ostilità con i colleghi di lavoro per un torto ricevuto, disaccordi interminabili in famiglia per una parola di troppo tra marito e moglie, rancori tra fratelli o con altri familiari al punto da non rivolgersi più la parola per uno screzio o per una ‘ingiustizia’ subita…).
E Alessio? Che dire della sua vita? Possiamo chiederci che senso può avere che un bambino così piccolo debba affrontare delle prove tanto dolorose… Vorrei proporle un pensiero che, credo, lei può comprendere se ha già iniziato un dialogo così aperto con la vita. Un pensiero molto antico (un filosofo greco, Platone, ce ne parlava duemilaquattrocento anni fa) sostiene che ciascuno di noi viene al mondo con un compito da svolgere, meglio, con un progetto da realizzare: per sé stesso e per gli altri. In altre parole è come dire che veniamo al mondo per imparare qualcosa (per noi) e per insegnare qualcosa (agli altri). E sono le anime più forti che vengono con un progetto più impegnativo.
E’ un pensiero condiviso da molti, anche oggi, soprattutto in certe filosofie/religioni dell’oriente. E’ un pensiero, per la verità, che a me non pare neanche tanto lontano da una visione cristiana della vita se ricordiamo, per esempio, quando, nella lettera ai cristiani di Corinto, ci viene detto che ognuno di noi ha un dono particolare dello Spirito e che questo dono ci è dato anche perché sia a vantaggio di tutti.
Certo, che cosa Alessio sia venuto ad ‘imparare’, per sé stesso, in una vita con un inizio tanto difficile, noi ancora non lo sappiamo. Una parte del suo progetto, però, forse possiamo già intravederla: non le pare che si stia rivelando fin da ora come un maestro di vita? Questo piccolo maestro sta insegnando a lei e ai suoi figli a guardare ciò che davvero conta nella vita di ogni giorno. E il suo insegnamento potrà arrivare, attraverso voi, a chi sa quanti altri. Oggi, per esempio, arriva anche a me e a tutti quelli che ci stanno leggendo.
La ringrazio per i pensieri che ha voluto condividere con noi. E un grazie particolare, con un grande abbraccio che l’accompagni nel suo cammino, ad Alessio, questo nostro piccolo grande maestro.