VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

14 dic 2008

Luca, un angelo in volo

Vorrei condividere con lei una notizia, purtroppo dolorosa: due settimane fa ho dovuto partorire il mio bimbo che da un'ecografia abbiamo scoperto era morto. Eravamo quasi al sesto mese. Può immaginare quanto dolore questo ha comportato per me e per tutta la mia famiglia... E' stato ed è ancora una ferita indescrivibile per tutti noi. Le scrivo, perché non riesco ancora a parlare, neppure con le persone a cui voglio bene, senza piangere. Vorrei chiedere a lei e alle persone che leggeranno di tenerci un po’ con voi: me, mio marito e gli altri miei due bambini, per poter lenire un po’ il nostro dolore. Sappiamo che in qualche modo il nostro angioletto, che abbiamo chiamato Luca, ci è vicino, ma ci manca la sua presenza, anche se non era ancora nato. Non so se questo sia il destino o la volontà di Dio. Io preferisco pensare che sia la Sua volontà, perché se è così, tutto il dolore ha un senso in un disegno di cui noi non siamo a conoscenza e che non possiamo capire, ma che c'è.

Scusatemi se vi ho rattristato. Grazie per avermi dedicato la sua attenzione.

Silvia D.

 

Cara Silvia,

non credo proprio che si deve scusare per aver voluto condividere con noi un’esperienza tanto forte come questa che la vita le ha riservato.

Sappiamo che parlare ci è d’aiuto, perché permette al nostro dolore di uscire un po’ dalle profondità dell’anima e di essere ascoltato. Ma parlare, dovendo sostenere la fatica di reggere una conversazione, può risultare, in certi momenti, troppo doloroso. Come un peso che oltrepassa le nostre forze. Allora scrivere diventa una strada più percorribile, perché il foglio sa aspettare le parole che man mano si formano nella nostra mente e permettono ai nostri pensieri di assumere una forma ‘leggibile’. Le persone che ci sono vicine, anche quelle che ci voglio bene, anzi, soprattutto loro, si avvicinano a noi preoccupate di riempire con le loro parole il nostro dolore. Quasi come a volerlo ‘coprire’ perché non prenda troppo spazio. Come a costruire degli argini oltre i quali non gli sia permesso di andare.

Il fatto è che chi ci sta vicino teme che il dolore possa invadere anche il suo spazio vitale. Oltre che il nostro. Di qui la necessità e il bisogno di riempire ogni nostro possibile silenzio con fiumi di parole che, però, diventano per noi solo rumore e non arrecano alcun conforto al nostro cuore, perché in realtà non possono neanche raggiungerlo.

Dovrà darsi un po’ di tempo, Silvia, prima di poterne parlare con un po’ di libertà. Prima, soprattutto, che chi le sta vicino possa ascoltare il suo dolore senza sentirsi in dovere di chiudergli (al dolore) la bocca, di togliergli la parola.

 

Lei si fa una domanda: se il fatto che questo bambino appena arrivato è subito ripartito, prima ancora di nascere, “sia il destino o la volontà di Dio”. E nel farsi questa domanda ci dice che il suo pensiero preferisce vedervi un progetto di Dio, perché questo le permetterebbe di vedere “un senso” nel suo e vostro dolore: il senso di essere parte di “un disegno di cui non siamo a conoscenza, ma che c’è”.

Poter vedere in un’esperienza, pure tanto dolorosa, un segno della vicinanza di Dio nella vita sua e della sua famiglia è senz’altro un dono che Dio stesso le sta facendo. Quel Dio in cui lei crede e di cui sente di potersi fidare. Proprio perché credere in lui altro non significa che fidarsi di lui, affidarsi a Lui, certi che il Suo amore non può tradirci. Perfino quando ci si presenta attraverso momenti tanto difficili, quindi incomprensibili per la nostra mente.

Da un punto di vista puramente ‘umano’ - quello che può cogliere la psicologia, la scienza dell’anima - le sue riflessioni ci ricordano che cercare un senso in ciò che ci succede è un’esigenza alla quale non possiamo rinunciare. Quando la vita ci fa incontrare il dolore, tanto più esso è grande, tanto più noi abbiamo bisogno di trovarvi un senso, un significato. La nostra mente non sa tollerare un’esperienza che ne sia priva. Non può accettarla.

E anche quando un significato è nascosto e difficile da raggiungere, il bisogno di trovarlo fa sentire tutta la sua pressione. Il dolore che lo accompagna è anche spinta verso la ricerca. Ci riflettevamo un po’ di tempo fa, in uno dei nostri primi incontri, subito dopo l’estate. La ricerca di senso è vita per la nostra anima. E’ vita per tutto il nostro essere.

E’ vero, la tentazione di fermarci prima è forte: sembra un cammino impossibile o addirittura inutile tenere aperta la domanda ‘che senso ha ciò che mi sta succedendo’. Ma nel momento in cui ci fermiamo, il dolore diventa vuoto, perdita di speranza, disperazione. E un dolore inascoltato cercherà altre strade per uscire e non si ferma finché non le avrà trovate. Magari passerà attraverso il corpo. Con quei disturbi che le scienze mediche e psicologhe chiamano ‘psicosomatici’. Ansia, depressione, disturbi digestivi, tono dell’umore alterato, disturbi del sonno, dolori vari, ecc.: diamo loro, di volta in volta, nomi diversi, ma sono facce di una medesima realtà.

La nostra anima, la nostra mente… in una parola, noi abbiamo bisogno di trovare un senso ai diversi momenti della nostra vita. L’essere credenti, come lei, Silvia, ci sta dicendo, diventa una risorsa: una strada da percorrere per riscoprirci all’interno di un progetto d’amore che Qualcuno, che vede oltre il nostro campo visivo, ha elaborato per la nostra crescita, per la nostra evoluzione.

 

La ringrazio per le sue parole. E un grazie a Luca, vostro - e un po’ anche nostro, ce lo permetta - compagno di cammino in questa vita.