VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

7 set 2008

Il corpo, la mente, l’anima

Il corpo

Diciamoci un BENTORNATI. Reciprocamente!

Così, dopo la pausa estiva, proviamo a riprendere il nostro viaggio intorno all’uomo, nel tentativo di incamminarci verso la comprensione di noi stessi.

C’eravamo lasciati dicendo che nel momento in cui ci avviciniamo all’essere umano ne possiamo cogliere aspetti diversi. Li abbiamo chiamati ‘dimensioni’. Ne avevamo indicate tre: quella biologica, quella psicologica e la dimensione spirituale. Oggi incontriamo la prima di queste: la dimensione biologica, quella fisica. Il nostro corpo. Qui siamo in buona compagnia, dicevamo. Questa dimensione infatti ci colloca sullo stesso piano di tutti gli altri esseri viventi. Con loro condividiamo un corpo, più o meno complesso: come loro nasciamo, ci evolviamo nel tempo in un processo di crescita, più o meno lungo, finché un giorno anche noi, come tutti gli altri, incontriamo la morte che mette la parola fine alla nostra permanenza sulla terra.

 

Il corpo siamo noi stessi. Io sono il mio corpo. Quando mi penso ho davanti ai miei occhi l’immagine del mio corpo. “Quello sono io” diciamo quando mostriamo una foto o un video a qualcun altro. Anche gli altri hanno di me l’immagine del mio corpo. Quando mi pensano, quando parlano di me, quando mi cercano, ecc., hanno davanti ai loro occhi la mia immagine: il mio viso, i miei occhi, i miei capelli, la mia altezza… in una parola, il mio aspetto fisico, il corpo. Quando una qualche malattia ci colpisce noi diciamo “sto male”, cioè “io sto male”. Non diciamo “sta male il mio corpo”!

Questi pensieri ci portano a dire che se noi siamo il nostro corpo, allora prenderci cura di esso significa prenderci cura di noi stessi. La qualità della cura che diamo al nostro corpo è la qualità della cura che diamo a noi stessi.

 

Quale cura diamo al nostro corpo e quale scienza per conoscerlo? La scienza che studia il nostro corpo è la scienza medica. Facciamo una riflessione su come usiamo la nostra medicina e su come, attraverso questa, ci prendiamo cura di noi. Un grande medico dell’antichità, Ippocrate, vissuto circa 2.400 anni fa in Grecia, diceva che è il malato che deve essere curato, non la malattia. Ciò significa che buon medico è colui che sa tenere presente la persona intera, non solo la parte del corpo malata. La ‘nostra’ medicina ha fatto passi davvero grandi nella conoscenza e nella cura dei processi che regolano il funzionamento dell’organismo. Chiediamoci però se oggi non sta correndo un grosso rischio: quello di diventare una medicina degli organi, dimenticando di essere la medicina di un organismo vivente. Quante volte ci sarà capitato di incontrare uno specialista che ‘sa tutto’ (o quasi!) su una parte del nostro corpo: il cardiologo sa del cuore, l’ortopedico sa delle ossa, il neurologo sa del sistema nervoso… con il rischio, però, che è sempre più difficile trovare qualcuno che sa guardare l’insieme di un essere umano, che sa guardare un corpo che vive. A scuola ai bambini insegniamo cos’è un insieme e li aiutiamo a comprendere che l’insieme è diverso dalla somma delle parti. Non rischia la nostra scienza medica di cadere in questa dimenticanza? Che, cioè, un corpo vivente è diverso dalla somma dei suoi singoli organi o apparati?

 

Ancora Ippocrate. “Lascia che il cibo sia la tua medicina” diceva. Qui, un diluvio di domande!

Che rapporto abbiamo noi con il cibo? La quantità che ingeriamo è tanto spesso superiore a ciò di cui abbiamo bisogno. Salvo poi a sottoporci a diete, più o meno estreme e più o meno corrette.

E la qualità? Concimi chimici, pesticidi, diserbanti non stanno inquinando i nostri terreni?

E agli animali che ci forniscono la carne cosa diamo da mangiare? In che condizioni li facciamo vivere? Tanti animali - della cui carne noi ci cibiamo (bovini, pollame, per es.) - non escono mai dalle loro stalle e non vedono mai la luce del sole, in tutta la loro vita! Almeno una domanda ‘egoistica’ dobbiamo farcela: quale ‘energia’ troveremo nelle loro carni? Una domanda ‘umana’ dovrebbe essere: ma con quale rispetto trattiamo gli animali ai quali poi chiediamo di diventare nostro cibo? Perché non permettiamo loro una vita più normale, all’aria aperta e nel rispetto dei ritmi biologici, di crescita, come sarebbe nella loro natura?

E dell’inquinamento atmosferico quanto ci preoccupiamo? Pensiamo mai che stiamo costruendo un ambiente pieno di ‘veleni’ (nell’aria, nella terra, nelle acque…) e questo sarà il mondo che ‘regaleremo’ ai nostri figli e ai nostri nipoti? Prenderci cura di noi e della nostra salute significa anche prenderci cura dell’ambiente che oggi è la nostra casa e domani sarà la casa dei nostri figli.

 

Ancora un ultimo pensiero. Anzi, due. Se noi siamo il nostro corpo, allora il rispetto che abbiamo verso il corpo è il rispetto che abbiamo verso noi stessi e verso gli altri. Ogni volta che riduciamo il corpo (nostro o altrui) ad oggetto di consumo, non è solo un corpo che riduciamo ad oggetto, ma una persona. Ancora: se il corpo, la nostra dimensione ‘fisica’, ci accomuna a tutti gli altri esseri viventi, allora la cura che dobbiamo al nostro corpo non è anche cura e attenzione che dovremmo imparare ad avere verso le piante e gli animali, nostri ‘coinquilini’ del pianeta terra?