VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

19 ott 2008

Giovani e adulti: un incontro possibile

o letto su Voce la sua rubrica. Mi ha colpito molto la risposta che ha dato a proposito della morte e la ringrazio.

Ma io voglio chiedere un'altra cosa. Quando noi adulti ci disponiamo a dialogare con i giovani, abbiamo (almeno io ho) la sensazione della distanza che ci separa da loro. Non perché su alcuni temi abbiamo la sensibilità diversa, ma perché si ‘scontrano’ due identità diverse. La nostra di adulti, ormai stabile o conquistata a fatica. La loro in formazione, ma molto (anche troppo, dico io) frammentata e indefinita. Lo so che sono in questa fase della vita. Ma io mi chiedo: può un giovane maturare un’ identità profonda? A quali condizioni? Oppure è inevitabile (anche auspicabile) che non sia come la nostra, piuttosto ferma e forse paurosa di mettersi in discussione?
E' possibile maturare una identità precisa, o ci dobbiamo rassegnare alla superficialità (almeno io la chiamo così)?
Luca P.

 

Caro Luca, non so bene a quale età della vita lei fa riferimento quando parla di giovani… Provo comunque a proporle alcuni pensieri su cui riflettere. Insieme.

 

Che cosa chiamiamo identità? Semplificando il nostro pensiero, possiamo dire che identità significa chi sono io. Ma se pure questo pensiero appare molto chiaro, in realtà è assai complesso, perché ogni volta che provo a dirmi chi sono io, mi accorgo che non posso dare una risposta univoca, ma la mia risposta mi porta a mettermi in relazione con qualcuno o qualcosa. Provo a spiegarmi con qualche esempio. In famiglia il chi sono io si traduce in ‘io sono…’ una moglie, un marito, un padre, una madre, un figlio, un fratello. A scuola ‘io sono…’ un insegnante, uno studente. Sul lavoro ‘io sono…’ l’operaio, il ragioniere, il titolare dell’azienda, ecc. La mia identità, cioè, è data dal ruolo che occupo nelle diverse situazioni, nei diversi contesti. Nel gruppo di amici io sono Lucio: ma chi è Lucio?

Per un giovane la famiglia, la scuola, il gruppo di amici sono i contesti più significativi. Oggi possiamo considerare ‘significativi’ anche i modelli che arrivano attraverso i mass media (televisione, internet, cinema...) e quelli che incontrano nei luoghi più frequentati: pensi alle discoteche, per esempio.

 

Come costruisce un giovane la propria identità? Ciascuna delle persone per lui significative - i genitori, gli insegnanti, gli amici, i modelli che la società gli propone - gli rimanda un’immagine di lui. Possiamo dire: ciascuno di questi è come uno specchio sul quale il giovane riflette sé stesso e si guarda. Sono immagini più o meno reali, più o meno parziali, più o meno deformate, ma sono immagini significative. Tanto più significative, quanto più lo sono le persone che fanno parte del suo mondo affettivo relazionale.

Qual è l’immagine che gli altri mi rimandano? Cosa mi chiedono gli altri per essere ‘accettato’? A quali valori debbo aderire? Con quali immagini mi devo misurare? Ciascuno di noi, dunque, costruisce la propria identità ponendosi in relazione con gli altri. Con gli altri significativi. (Teniamo presente che questo processo è attivo fin da bambini. E continua, con intensità e significati diversi, per tutta la vita).

 

E l’adulto? Lei parla di un’identità ormai stabile e definita nell’adulto. Certo, a quarant’anni, cinquanta, una persona dovrebbe aver raggiunto una certa stabilità nell’immagine di sé, così come una sufficiente chiarezza in quelli che sono i valori fondamentali nella vita. Ma… sarà proprio così? Perché, vede, la critica maggiore che i giovani fanno agli adulti è che questi pretendono di sapere già tutto della vita e vogliono avere sempre ragione su tutto. I genitori con i figli, gli insegnanti con gli alunni, i preti con coloro che frequentano le chiese. Sarà poi vero che è sempre così? Penso di no. Ma la critica che i giovani ci fanno dovrebbe portare a farci una domanda: la mia identità (= chi sono io, quali sono i miei valori) è stabile, forte o è un’identità rigida? “Dov’è la differenza?” lei mi chiederà.

Un’identità forte mi permette di mettermi in discussione quando incontro un altro che contesta certe mie idee, il mio modo di guardare le cose della vita. Perché sono una persona sufficientemente stabile sui miei piedi e una buona stabilità hanno i miei valori di riferimento.

Un’identità rigida non mi permette di mettermi in discussione: sono così instabile nel profondo di me stesso, che chiunque venga con idee diverse dalle mie diventa pericoloso per me. Come se potesse farmi crollare da un momento all’altro. E’ un’identità barcollante, quella che lei stesso ha definito ‘paurosa di mettersi in discussione’. Guardi, tanto per osservare qualcosa che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, quanta chiusura mentale incontriamo tra i politici. Si riempiono la bocca della parola dialogo, ma lo fanno nella piena convinzione che solo loro hanno la verità e qualunque cosa possono dire o fare gli altri (= quelli dell’altra parte politica) è sempre sbagliata! Questo è un bell’esempio di identità rigida, quindi assolutamente barcollante! C’è proprio da chiedersi in che mani siamo…

 

Ma riprendiamo il nostro filo. E’ evidente, dunque, che solo un’identità sufficientemente forte mi permette di entrare in una relazione di dialogo con il mio interlocutore. Lei sa che la parola dialogo è una parola molto impegnativa. Essa ha origine dal greco dià (= tra, attraverso) + lògos (= parola): significa che la parola può passare dall’uno all’altro degli interlocutori e diventa parola che costruisce l’incontro. Ma perché ci sia il dialogo le condizioni sono due, fondamentalmente: la prima è che ci sia chi parla e, naturalmente, chi ascolta; la seconda è che chi può parlare non sia sempre lo stesso, né può essere sempre lo stesso chi deve ascoltare. Altrimenti sarebbe non un dia-logo, ma un mono-logo (mònos = uno solo).

Non crede lei che tanto spesso noi adulti ci poniamo con i giovani nell’atteggiamento di chi ‘sa tutto’, quindi ha tutto il diritto di parlare, e mai - o quasi mai - nell’atteggiamento di chi dovrebbe anche ascoltare? Quante volte nel mio lavoro incontro genitori che lamentano il fatto che “i figli oggi non ascoltano più, vogliono fare quello che gli pare…”! E quando li invito a chiedersi “ma cos’è che questo figlio ci sta dicendo in questo periodo della sua vita?”, spesso mi guardano come se fossi un marziano.

I giovani ci chiedono di essere anche ascoltati. Se hanno la fortuna di incontrare degli adulti che sanno anche ascoltare, essi apprendono il senso della libertà, del rispetto. In una parola, forse poco di moda in questi tempi, essi apprendono il pensiero della democrazia. Che è rispetto e attenzione verso sé stessi e verso l’altro. Un’identità che si costruisce con questi valori sarà un’identità certamente forte. Diamo loro il tempo di costruire. Ma non dimentichiamo che della loro identità anche noi adulti siamo responsabili, con il nostro atteggiamento verso di loro.