25 mag 2025
Dalla lotta fratricida al prenderci cura gli uni degli altri
Un femore rotto, poi guarito
Tra le pagine che accompagnavano il mio primo incontro con il latino, tanti anni fa, le favole di Fedro avevano un posto particolare. Semplici e brevi, da una parte, e nello stesso tempo fonte di saggezza. Una di queste m’è tornata alla mente questi giorni, pieni come sono di dichiarazioni tonanti su una pace imminente che i cosiddetti grandi dicono di volere. Incapaci, poi, di dare concretezza alle loro parole. In Ucraina, in Medio Oriente.
Vissuto al tempo di Tiberio e di Caligola, non era ben visto Fedro da certi grandi. Troppo arguto, sapeva mostrare con piante e animali parlanti i difetti e le tante astuzie degli umani. Una montagna stava partorendo, racconta, emetteva gemiti terribili, e c’era sulla terra un’attesa grandissima. Ma ella partorì un topolino. Poi, sapendo bene quanto sia facile all’uomo scappare di fronte alla verità, aggiunge: Hoc scriptum est tibi, qui, magna cum minaris, extricas nihil – questo è scritto per te che, ogni volta che prometti grandi cose, non concludi nulla.
Poteva essere diversamente? No. Con personaggi come Putin o Trump è assai difficile costruire. Tanto facile emettere gemiti terribili, far tuonare la propria voce, offrire dichiarazioni altisonanti e promesse onnipotenti. Altrettanto difficile stringere. Nella concretezza. Soprattutto quando questa non dà gloria. Né risultati di potenza. Né ricchezza. È più conveniente investire energie nel costruire affari per miliardi di dollari che spenderne per fermare stragi di vite umane. In Ucraina come in Palestina. Come nelle tante altre parti del mondo. Così, dopo soli novanta minuti d’incontro, un nulla di fatto nel vertice di Istanbul tra ucraini e russi. Certo, è un primo passo: da tre anni non ci sono più parole tra loro. Solo armi. Ma adesso?
Ora il problema non è solo che ci sono Putin o Tramp, prigionieri il primo dei suoi sensi d’inferiorità di fronte al mondo e l’altro di un narcisismo pervasivo. In una gara tra bulli. Il problema è nel fatto che, pur in regimi diversi, con elezioni farsa o con elezioni reali, i putin e i tramp, e tutti i loro simili, non cadono dal cielo, ma ci sono perché messi lì dai cittadini. E ora ci sono loro. E c’è la guerra. Con tutta la seduzione delle armi. Seduzione doppia. Della forza bruta, dalla clava per l’uomo delle caverne al nucleare di oggi i sapiens hanno sempre cercato di costruire strumenti per potenziare le loro prestazioni; e l’altra, quella che si traduce in dollari. Che la produzione e la vendita delle armi moltiplicano in maniera esponenziale.
Se in uno dei miti fondanti la nostra cultura, nella prima famiglia umana incontriamo Caino e Abele, un fratricidio, significa che da sempre, quando l’uomo si ferma e guarda sé stesso si coglie in una relazione di rivalità. In una relazione contro.
In una delle immagini che questi giorni hanno accompagnato il viaggio del Presidente degli Stati Uniti in Arabia, dietro le sue spalle c’era, a caratteri cubitali, Peace through strength, la pace attraverso la forza. Pensiero anche della Commissione europea nel progetto di riarmo che ci vede coinvolti. Convinti che solo un’Unione Europea forte, assertiva, militarmente coesa può conservare la pace. Niente di nuovo sotto il sole, né di originale, se già con i Romani Si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra, era il pensiero guida nella politica dell’impero. Ma questo pensiero, pragmatico certo, contiene un’eco inquietante. È assai lontano da quella pace disarmata e disarmante di papa Leone, lodata e apprezzata, a parole, da tanti grandi della terra. Ma lasciata lì. Tra le parole che piace sentire, ma da mettere nel deposito dei buoni pensieri.
Hanno chiesto, un giorno, a Margareth Mead, antropologa statunitense morta nel 1978, quale fosse per lei il primo segno di civiltà in una cultura. Il primo segno di civiltà era trovare un femore rotto, poi guarito. Nel regno animale, spiegò, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, recarti al fiume per bere o cercare cibo. Diventi una preda. Nessun animale con una gamba rotta sopravvive abbastanza a lungo perché l’osso possa guarire. Un femore rotto, poi guarito, è la prova che qualcuno s’è preso cura di chi è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Aiutare qualcun altro in difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia, spiegò. Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è tutto qui. La sua conclusione.
Un sogno. Che tutti noi, primi fra gli altri i vari Trump Putin Netanyahu Hamas, i capi di governo dell’UE, insieme ai tanti grandi nel mondo, anziché continuare con dichiarazioni tonanti, facciamo nostra questa lezione. Così davvero una pace disarmata e disarmante può diventare realtà. E anziché continuare ad ammazzarci a vicenda impariamo a prenderci cura gli uni degli altri. Da popoli... civili.