VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

2 nov 2025

Immersi in un clima di violenza

Parole armate

Non so quale sia la vostra sensazione. A me sembra che tanti nostri politici, donne e uomini, hanno dimenticato come si possa parlare tra persone. Soprattutto come parlare con chi è dall’altra parte. Sia nella scelta delle parole sia anche, e soprattutto, nei toni. A cominciare dalla capo del governo, continuando poi nelle file e della maggioranza e dell’opposizione. Gli antichi greci, nella gestione dello stato, la pòlis, puntavano al governo dei migliori: aristo-crazia (àristos migliore, kràtos governo) lo chiamavano. La nostra Costituzione ricorda: I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore.[1] Non so a voi, ma a me tanto lontane appaiono disciplina e onore. Nelle piazze, dove il politico di turno non si risparmia parole al veleno da gettare sugli avversari. O perfino in parlamento, dove il disaccordo nelle idee diventa occasione per urlare il proprio pensiero in faccia all’altro. A destra e a sinistra.

Non arrivano voci costruttive da oltre oceano. Il presidente Trump non perde occasione per attaccare e offendere chi non è dalla sua parte. Ai funerali di Charlie Kirk, giovane trentunenne ucciso in un attentato, se ne esce con Charlie è un martire. Non odiava i suoi avversari, voleva il meglio per loro. Ecco in cosa non ero d'accordo con Charlie: io odio i miei avversari, non voglio il meglio per loro. Non li sopporto. Parole di un presidente. Del presidente degli Stati Uniti, il paese della democrazia. Coerentemente poi tradotte nella prassi. Università sotto controllo, giornalisti segnati a dito, militari a volto coperto nelle città, immigrati scovati con ogni mezzo e cacciati con una violenza degna dei peggiori regimi. Dimenticando che questo grande paese nasce proprio nell’incontro e nell’integrazione di popoli e culture provenienti dalle più diverse regioni del pianeta.

 

E noi? Spiaccicati, sembra, sotto il compressore Trump. Una presidente del consiglio che definisce gli avversari politici più fondamentalisti di Hamas, più estremisti degli estremisti; prigionieri di un radicalismo ideologico che non sanno più come saziare, che impedisce loro di ragionare con lucidità; che mette in ridicolo le centinaia di migliaia di persone che in tutta Italia hanno partecipato a manifestazioni per chiedere la fine della distruzione di Gaza: Hamas ha firmato perché avrà paura di un altro sciopero generale della CGL! ; fino a concludere con il solito ritornello: non ci facciamo fare la morale da una sinistra sempre più radicalizzata. E un’opposizione che per rispondere sciorina parole come cortigiana di Trump o cheerleader. Tutti, destre e sinistre, semidestre e semisinistre, in pieno accordo: dagli altri non abbiamo nulla da imparare!

Si racconta che Socrate il giorno in cui Santippe, la moglie, gli tirò addosso un secchio d’acqua, o d’altro liquido (!?), dopo le tante parole con cui lo richiamava, cui lui non si degnava di rispondere, avrebbe esclamato: tanto tuonò che piovve! Ecco. Immersi nella violenza delle parole, non è difficile che sorga qualcuno – più fanatico? più estremista? più fragile? più...? – e possa tradurre questa violenza con un colpo di fucile, come con Kirk negli Stati Uniti, o con una bomba, com’è accaduto qui da noi nei confronti di un giornalista.

 

Due osservazioni allora.

La prima. Chi è più in alto nel contesto sociale ha più responsabilità. Il suo comportamento, nel linguaggio e nelle azioni, diventa facilmente oggetto di emulazione. Soprattutto da parte di chi è meno solido. Nelle idee, nei valori. O anche come struttura di personalità. Se fanno così loro, che sono più grandi, allora lo posso fare anch’io...

L’altra è una domanda. Cos’è che ci rende incapaci di costruire un confronto sereno e rispettoso, pur nella differenza delle idee e della visione del mondo? Il senso della parola democrazia, cui spesso ci richiamiamo, chiede che l’avversario sia ascoltato. Non denigrato. È il confronto, nel rispetto della differenza, che fa crescere una società. Base del confronto sono le idee. E le parole il veicolo attraverso cui queste passano. Se le idee sono deboli e, di conseguenza, le parole diventano pietre con cui colpire l’avversario, non c’è dialogo. E senza dialogo non c’è democrazia. I nostri politici, di qualunque schieramento, dopo aver festeggiato per aver vinto questa o quell’elezione, abbiano la saggezza di fare silenzio. E di ascoltare l’altra metà degli italiani. Quelli che non vanno più a votare. Chiedendosi, con onestà intellettuale, se tanto assenteismo non sia la risposta al loro comportamento.

 

Scrive Gibran, poeta libanese del secolo scorso: Io non detesto i re, che governino pure gli uomini, ma a patto che siano più saggi degli uomini.[2] Noi non abbiamo re. Ma governanti che ci siamo scelti. Con il voto e con il non voto. Sono essi più saggi di tutti noi? E se non lo sono, perché li abbiamo scelti?

 

 

[1] Costituzione Italiana, art. 54

[2] K. Gibran, Gesù figlio dell’uomo, 1928