VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

21 set 2025

Ancora chat in cui si commercia il corpo delle donne

Mio marito

A un certo punto ho visto una foto. Ci ho messo un po’ a realizzare: quello era il mio letto. Ero io, in primo piano. Non c'era il nome né il viso, ma è ovvio che mi sono riconosciuta: c'era la mia camera da letto, c'erano delle cose che fanno parte di me, della mia vita. È stato come se tutto attorno a me cascasse giù. Partecipante anonimo127, cioè mio marito, mi aveva esposta sulla piazza del web, in quel gruppo di guardoni che facevano commenti ributtanti. E lui rispondeva pure! Non credevo ai miei occhi. Ho chiuso il telefono d’istinto e sono scoppiata a piangere.[1] Così racconta questa donna. Ha scoperto che il marito era membro attivo della chat Mia moglie. Pagina Facebook con 32mila iscritti, in maggioranza uomini, che vi postavano foto della moglie o della fidanzata, mezze nude, prese a loro insaputa. Ignare di come queste girassero in rete. Foto incorniciate dai commenti degli uomini che frequentavano il sito. E non è la sola chat di questo genere. Solo qualche giorno dopo arriva Mia moglie 2 - incontri social. 8mila iscritti. Qui lo scambio delle foto è in privato. Ma l’invito Buongiorno, chi manda moglie e figlia? è parte del menù. Anche altre chat stanno venendo a galla. Una in particolare che per rispetto al nostro giornale non nomino, considerata anche la volgarità del nome: chi l’ha inventata, comunque, sa anche che Ph si legge F... Alto livello culturale!

 

Commenti? Questo è mio marito, il mio fidanzato, possono dire le 32mila donne i cui partner, attivi o passivi, coltiva(va)no questo... gioco. E non c’è neppure bisogno di entrare in categorie cliniche, come perversione o disturbi analoghi. Basta osservare come il maschilismo, stabile e solido, continui imperturbato a guidare le nostre relazioni. Ciò che cambia è solo la modalità con cui agisce.

Ieri, ero con una collega a prendere un caffè. Entrano nel bar due donne. Giovani. Siedono al tavolo accanto. Una sottana lunga fino ai piedi nasconde ogni forma. Una indossa anche un velo, rosa, con su disegnati dei cuori. Copre testa spalle e fronte. Lo completa una mascherina nera che lascia scoperti soltanto gli occhi. Al momento di mettere in bocca la brioche o il cappuccino la abbassa per un attimo, precipitandosi subito a rialzarla durante la masticazione. Finché non si alzano. E se ne vanno. Sì, ma noi non trattiamo così le nostre donne, questi sono talebani, ancora nella preistoria. Certo. Ma spogliare una donna senza il suo consenso ed esporla sul web significa essere entrati nella storia? Dare in pasto ad altri maschi l’immagine del corpo della tua compagna, quella che chiami amore, la madre dei tuoi figli, quasi fosse un trofeo o una conquista da sbandierare a riprova della tua virilità o del tuo potere, significa vivere nel XXI secolo?

Stiamo attenti a non lasciarci imbambolare dal luccichio della tecnologia. Quasi che il grado di civiltà si possa misurare dal livello tecnologico raggiunto. Oggi il corpo della compagna, o comunque di una donna, non lo mettiamo più su un tabloid in vendita dal giornalaio, ma su Meta o Instagram o altro social, strumenti che sono segni dell’alto livello tecnologico che abbiamo conquistato. Nessuna differenza. Se non che, senza rendercene conto, se dal giornalaio poteva raggiungere cento persone, sul web la diamo in pasto a milioni di potenziali guardoni. E non per una settimana o un mese, ma per... i secoli dei secoli. Quanto va in rete lì rimane: e non c’è polizia postale che possa recuperare ed eliminare quelle immagini. Basta pensare a quanti potrebbero averle scaricate e conservare nei propri dispositivi. Molte volte questo lo ricordiamo ai ragazzi per aiutarli a cogliere il potere, nel bene e nel male, che hanno in sé i social. E agli adulti chi lo ricorda?

 

Sì, una domanda nasce. Come sia possibile che uomini adulti, professionisti d’ogni tipo, insegnanti, politici, medici, psicologi, avvocati, dirigenti, operai, tecnici... sentano il bisogno di continuare a usare il corpo di una donna quasi fosse qualcosa di comprato, di cui quindi poter disporre come fosse un oggetto.

 

Mi chiedo se questi fenomeni non ci stiano dicendo che di fronte alla novità che hanno portato tra noi i movimenti femminili e femministi sia in atto una sorta di rivincita. Di ribellione del maschio. Che non riuscendo a riconoscersi in una relazione di parità con la donna, non sa cogliere la ricchezza che un simile rapporto, libero da logiche di potere, porterebbe con sé. In famiglia. Nella società. E si rinchiude dentro le mura di un consolidato machismo. Non tutti sono così, certo. Ce ne sono anche che, vivendo insieme a donne libere, a donne del nostro tempo, sanno mettersi in discussione.

Tutti credo, donne e uomini, abbiamo bisogno d’imparare a riconoscere l’immenso arricchimento, reciproco, che una relazione di pari dignità nel rispetto della differenza, indice del superamento del maschilismo, donerebbe a noi umani.

 

[1] Corriere della Sera, 23 agosto

 

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