VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

12 ott 2025

Con gli orecchi offesi dal frastuono delle armi

L’udito da recuperare

Chi sa quante volte vi sarà capitato che voi parlate, ma la persona cui vi rivolgete non v’ascolta: segue i suoi pensieri, magari ripetendo e ripetendosi, ma di quanto state dicendo non coglie niente. E ci sarà anche successo d’essere noi dall’altra parte: qualcuno ci sta parlando, ma alla fine spreca solo il fiato, tanto noi, saldamente chiusi nelle nostre idee, neppure l’ascoltiamo. Preoccupati solo di replicare il nostro pensiero. Un bellissimo dialogo... tra sordi. E visto che non c’è più sordo di chi non vuol sentire, questo è il modo migliore per coltivare un mondo di incomunicabilità. Ne potremo uscire? Lucio Dalla, da poeta qual era, ci contava: nella lettera a quel suo Caro amico gli dice: Il nuovo anno porterà una trasformazione, anche i muti potranno parlare, mentre i sordi già lo fanno. Riusciremo davvero ad uscire da un mondo di soli sordi che parlano?

 

Che facciamo se dobbiamo parlare con chi è debole d’udito? Alziamo il tono della voce. E se l’ipoacusia è più grave, dovremo anche parlare lentamente, usare le parole essenziali, rinunciando a disperderle in un mare di chiacchiere. Con grande attenzione a vedere se l’altro riesce a seguirci. Ma se invece siamo interessati solo a dire la nostra? Allora, se alzare il tono della voce non è sufficiente, urleremo. E urleremo. Con ogni mezzo. Non è a questo, in fondo, che serve la guerra? L’urlo delle armi diventa il megafono con cui gli uni e gli altri cercano d’imporre la propria verità.

Due persone si stanno parlando. Entrambi ci tengono ad arrivare all’altro. Ma entrambi sono così chiusi nelle proprie idee che sanno ascoltare solo se stessi. Niente di male, ovviamente, che ciascuno sia convinto delle sue posizioni. Il male nasce quando a custodia e sostegno delle mie idee pongo un pensiero rigido. Pensiero che non è in grado di tollerare opinioni diverse dalle sue. È così fragile che teme di rompersi, di frantumarsi, non appena vede che qualcuno osa pensare, figuriamoci poi dire o fare, qualcosa di diverso. Così deve alzare il tono per farsi sentire. E per non sentire. Se a custodia delle mie opinioni, invece, so mettere un pensiero forte, non ho timore di ascoltare chi la vede diversamente da me. Anzi, riesco ad apprezzare altri punti di vista: diventano per me arricchimento del mio pensiero. Ampliamento del mio sguardo.

Ma un pensiero forte non ce lo regala nessuno. È una conquista che possiamo fare solo lavorando con noi stessi. Con il coraggio di mettere in discussione quelle certezze che ci sono state inculcate, una fede politica una fede religiosa una dottrina accolta in modo acritico e dogmatico, al punto che non solo siamo incapaci di farci domande, ma il solo pensiero di mettere in dubbio qualche aspetto della dottrina incamerata diventa trasgressione. Infedeltà al partito e ai suoi dirigenti in politica, ribellione nella vita sociale, eresia o peccato quando le domande toccano una religione.

 

Appellarci a principi non negoziabili, senza poter neppure ascoltare un’obiezione, senza poterci neppure chiedere il perché questi principi siano non negoziabili, significa rinchiuderci in una rigidità di pensiero, e di azione, che impedisce ogni potenziale dialogo. Pensiamo a quell’atteggiamento che porta donne e uomini di una parte a rifiutare ogni pensiero che possa venire dall’altra parte. Una sinistra che giudica sempre e comunque sbagliate posizioni o valutazioni della destra. E una destra che rifiuta a priori ogni parola o proposta che possa giungere da sinistra. In un eterno sospetto. Reciproco. Pensiamo, nel mondo della religione, a certi uomini di chiesa incapaci di attivare un ascolto vero su questioni con cui la società, oggi, chiede di confrontarsi. Anche quando dovessero mettere in discussione aspetti, disciplinari o dottrinali, che nulla hanno contro il Vangelo. L’anacronistica subordinazione della donna nella chiesa, i pregiudizi verso chi vive un orientamento affettivo e sessuale diverso dalla maggioranza, le preclusioni verso le coppie separate e ricostituite, tutta la problematica sul fine vita e altre questioni che l’uomo d’oggi non può tacitare.

Che siano capi di stato o di governo, dirigenti di partito o uomini di chiesa, quando essi per primi sono prigionieri d’un pensiero rigido, dialogo e confronto non trovano terreno su cui mettere radici. E la società che pretendono di guidare diventa asfittica e sterile. Istituzione totale. Al punto che chiunque osi porsi e porre domande diventa l’avversario. Il nemico. Credere obbedire e combattere, sintesi perfetta d’una società totalizzante. E la squalifica dell’altro diventa tutela della propria identità. Della propria sopravvivenza.

 

Bisbigli di pace arrivano questi giorni per il Medio Oriente. Potranno diventare parole, udibili dai nostri orecchi già così offesi dal frastuono delle armi? Nell’antico ebraico parola si dice dabàr. Il suo significato è molto profondo: dice parola che si realizza. Riusciremo ad ascoltarla, custodirla e farla crescere?