VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

26 gen 2025

27 gennaio, Giorno della Memoria

In confusione

Ancora più difficile quest’anno il 27 gennaio, scrivevo un anno fa. Che dovrei dire oggi? È davvero grande il pericolo che corriamo: il dramma del presente rischia di farci dimenticare la tragedia del passato. Così pare che funzioniamo. E ciò si verifica tanto più facilmente quanto più grande è il peso dell’oggi.

Ottant’anni sono passati da quel 27 gennaio del ’45 quando l’armata rossa varca la porta della schiavitù ad Aushwitz. E il mondo si trova a dover guardare ciò che fino ad allora non aveva voluto vedere. Sei milioni di persone non si rinchiudono in campi di sterminio o in camere a gas senza la complicità di donne uomini e governi che decidono di girarsi dall’altra parte. Da sempre il non-vedo non-sento non-parlo sembra politica piuttosto facile da abbracciare.

 

Perché parlo di confusione? Perché sembra che le cose si siano ribaltate. I russi da liberatori nel ’45 sono diventati oggi invasori di un paese libero, e gli ebrei da vittime si stanno trasformando in carnefici. Non sono i russi, direte, ma è Putin che ha deciso d’invadere l’Ucraina. E non sono gli ebrei, ma lo Stato d’Israele che sta distruggendo Gaza. Sì. Ma se Putin sono venticinque anni che nelle sue mani ha il potere di mandare al macello i suoi cittadini e questi passivamente vanno, portando morte e distruzione in un paese fratello, è il popolo russo che ce lo tiene. O che, almeno, ha la responsabilità di non prendersi nessuna responsabilità. Non facevano così i tedeschi con Hitler o gli italiani con Mussolini? E se lo Stato d’Israele, formato in stragrande maggioranza da ebrei, perdipiù figli o nipoti dei sopravvissuti alla shoah, continua ad essere governato da Netanyahu, la responsabilità è dei suoi cittadini. Tantopiù che siamo in una democrazia. E le elezioni lì non sono una farsa.

È tutto questo che mi fa parlare di confusione. La guerra russo ucraina conta già un milione di vittime, tra morti e feriti. E oltre cinquantamila sono i morti a Gaza, su un totale di nemmeno due milioni e mezzo di abitanti. Certo, il peso della morte non si misura con i numeri. Neppure la distruzione. Ma morte e distruzione, le due facce della guerra, sono lo specchio del nostro oggi. Un oggi che rischia di farci mettere in seconda o ultima linea il dramma della shoah.

Siamo forse più civili dei nostri nonni perché non abbiamo attivato campi di sterminio né camere a gas? Questa è la domanda che mi faccio. E qui la mia confusione cresce. Perché il pericolo che vedo è di tenere alto il senso di repulsione verso il genocidio degli ebrei (con disabili, omoaffettivi, rom, Testimoni di Geova…) messo in piedi dal nazifascismo; relegandolo, però, a quanto è accaduto nell’Europa della prima metà del Novecento. Al gioco del capro espiatorio. Con Aushwitz Birkenau e gli altri campi fratelli. È tutto qui per noi, oggi, il significato del Giorno della Memoria che continuiamo a celebrare? Questo il mio timore.

 

Un SS avrebbe dovuto essere pronto a sterminare anche i parenti se si fossero messi contro lo Stato o contro l’idea di Adolf Hitler “Non c’è che una cosa che conti: l’ordine ricevuto!”.[1] Così Höss, il comandante ad Aushwitz. La coscienza è messa a tacere. La sua voce non ha diritto ad esistere. E dopo aver comandato un plotone d’esecuzione per un SS coscienzioso e fedele nel servizio, si meraviglia di sé stesso: quello che non riesco a concepire è come io abbia potuto dare con la stessa calma l’ordine del fuoco. Ma questo era l’ordine ricevuto, e non c’è che una cosa che conti: l’ordine ricevuto! E lui, da bravo SS l’aveva fatto suo.

Sento già la vostra obiezione: ma quelli erano fanatici, oggi siamo anni luce lontani da queste aberrazioni. Vorrei che lo fossimo. È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire scrive Primo Levi.[2] Di qui la necessità di ricordare. Consapevoli che non s’inizia subito con le camere a gas o con i treni carichi di deportati. Si parte pian piano. Noi e loro è il primo pensiero: noi siamo noi, e loro sono gli altri. Dentro quel loro – che non sono noi – ci mettiamo di volta in volta qualcuno: le donne in Iran o in Afghanistan, i curdi o i palestinesi o Israele in Medio Oriente, gli immigrati nella civile Europa… Primo Levi si poneva il dubbio di non riuscire a capire i tedeschi. La domanda che mi faccio è se noi riusciamo a capire l’uomo.

Tzvetan Todorov, nella prefazione a I sommersi e i salvati scrive: “Perché questa pagina oscura del nostro passato deve essere ricordata? Perché le passioni e i comportamenti umani non cambiano mai radicalmente, e dunque, anche se le istituzioni e le tecnologie si trasformano, la storia si ripete”.

Nobile sia l'uomo,
soccorrevole e buono!
Poiché questo soltanto
lo distingue
da tutti gli esseri
che conosciamo
.[3]

 

 

[1] H. Höss, Comandante ad Aushwitz

[2] P. Levi, I sommersi e i salvati

[3] J.W. Goethe, Il divino

 

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Si può vedere anche:  Può accadere di nuovo 2024
e tutti gli altri articoli scritti, anno per anno, in occasione della Giornata della Memoria https://www.itfa.it/la-mente-e-lanima/