VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

28 set 2025

Una lezione da un antico libro di psicologia

Il prossimo non esiste

Quante volte usiamo questa parola, il prossimo. Senza neppure conoscerne il significato. A chi ci chiedesse chi è il prossimo forse risponderemmo, molto velocemente, gli altri. Andiamo a vedere. Prossimo è la traduzione del latino proximus. Che è il superlativo di vicinus, vicino. Quindi prossimo significa molto vicino, vicinissimo. Chi è il mio prossimo è una domanda che ci facciamo spesso, ma altrettanto spesso neppure ci rispondiamo o, se lo facciamo, restiamo in un generico gli altri. In quell’antico testo di psicologia, meglio, di umanità, che chiamiamo Vangelo c’è una pagina che, se letta con attenzione, ne stravolge il significato. Al Maestro di Nazareth un uomo, molto devoto e rispettoso delle leggi, fa proprio questa domanda: Chi è il mio prossimo? E come ogni bravo maestro, lui non dà una risposta teorica, ma costruisce un racconto così che l’altro possa trovare lui, da sé, la risposta alla domanda che lo inquieta. Non solo. Da vero maestro l’aiuterà a comprendere che la domanda è sbagliata.[1]

 

Mentre percorre la strada che scende da Gerusalemme a Gerico, un uomo viene aggredito da briganti che lo lasciano lì, mezzo morto. Era abbastanza comune che questo succedesse, tanto che chi la doveva percorrere, unica strada di collegamento tra questi due centri, cercava sempre di spostarsi in compagnia, in carovana. Passano due uomini di religione, un sacerdote prima, poi un inserviente del tempio. Ma di ciascuno Gesù dice: vide e passò oltre. Dopo un po’ passa un uomo della Samaria, un samaritano. Questi si ferma, presta un primo soccorso al malcapitato, poi lo carica sulla sua cavalcatura e lo porta in una locanda affidandolo al padrone. Gli lascia i soldi per le cure necessarie e lo rassicura che al ritorno gli darà tutto quanto avrà dovuto spendere in più. Qui finisce la storia.

E la domanda che quel brav’uomo gli aveva fatto?

Qui Gesù ribalta la questione. Non gli chiede chi è il prossimo per quei tre che sono passati accanto a quell’uomo. Gli chiede, invece: Chi di questi tre sembra a te che sia diventato prossimo di colui che è incappato nei briganti? Perché la domanda è ribaltata? vi chiederete. Perché la domanda chi è il mio prossimo è sbagliata. E le domande sbagliate non sono evolutive. Per il Maestro prossimi non si è, prossimi si diventa. O non si diventa. Se la parola prossimo significa molto vicino, è logico che la domanda sia: chi è che si è fatto molto vicino a quel disgraziato. Noi diremmo che per i due religiosi quell’uomo mezzo morto è il prossimo. Ma non è così: loro si girano dall’altra parte. Per loro quel disgraziato non è per niente prossimo, cioè molto vicino. Tutt’altro. È molto lontano. E non per la distanza in metri. Lontano, per la distanza che mettono nei suoi confronti: fanno finta di non vedere. Ciascuno dei due vide e passò oltre. Esiste forse distanza maggiore di quella che metto tra me e chi non voglio vedere? O che mi separa da chi non mi vuol vedere?

 

Il prossimo, dunque, non è una categoria. Che esiste a prescindere. Essere prossimo, farsi prossimo è un processo. Sono io che posso farmi molto vicino ad un altro, ad altri. O restarne lontano. Chiuso, come Turandot, nelle mie fredde stanze. Di buon cittadino. Che... si fa i fatti suoi. O anche di buon cristiano, se questo è un valore aggiunto per me. Salvo poi a dovermi confrontare con quel codice di vita che per un cristiano si chiama Vangelo. Facciamo bene attenzione. Non è un discorso religioso che ci propone il Maestro. È di pura umanità. È un semplice mettere in evidenza che appartenere alla medesima umanità non è garanzia di essere prossimi.

Pensiamo semplicemente a come ci facciamo, o non ci facciamo, prossimi a coloro che si vedono costretti ad abbandonare la loro terra per cercare un luogo dove poter vivere, che noi sbrigativamente chiamiamo migranti. Subito infatti spostiamo lo sguardo sui trafficanti di esseri umani. Dimenticando, però, le parole esseri umani, e aggrappandoci a trafficanti. Ottimo escamotage per rinchiuderci in casa – difendiamo i confini! – e respingere quei disgraziati che hanno avuto la sfortuna di nascere nelle terre sbagliate. Con una presidente donna madre e cristiana, o un vice che fa comizi con il rosario in mano. Non dissimili dai due uomini di religione che di fronte a quel disgraziato mezzo morto, vedono e... passano oltre. E le guerre che continuiamo ad alimentare, così il pil cresce, anche con il commercio delle armi?

 

Farci prossimi significa cogliere il bisogno dell’altro. Ma per coglierlo mi devo avvicinare, scendere cavallo e vedere com’è messo. E, la cosa più difficile, con-dividere con lui ciò che mi appartiene. Il samaritano con-divide con quel disgraziato il suo tempo (si ferma e se ne prende cura) e il suo denaro (che lascia al proprietario della locanda per le cure necessarie).

Sì, il prossimo non esiste. Prossimi, cioè molto vicini al punto da rispondere ai bisogni dell’altro, si può diventare. O non diventare.

 

 

[1] Luca 10, 25-37