VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

3 ago 2025

Fra tanto frastuono di violenza, una pausa per respirare

Il contadino saggio

Oggi lasciamo riposare i temi aperti queste ultime settimane e ascoltiamo una storia. Magari ci è di compagnia in questo mese di agosto.

Nel nord della Cina, ai confini della steppa frequentata dalle orde nomadi, viveva un modesto contadino. Un giorno tornò dalla fiera, fischiettando, con una superba puledra, acquistata a un prezzo ragionevole, ma che, comunque, s’era inghiottita cinque anni di economie. Alcuni giorni più tardi, quel suo unico cavallo, che rappresentava tutto il suo capitale, scappò, dileguandosi verso la frontiera. L’evento fece il giro del villaggio e, uno dopo l’altro, i vicini vennero a compatire il contadino per la sua malasorte. Ma lui alzava le spalle e rispondeva, imperturbabile: “Le nuvole nascondono il sole, però portano la pioggia. Dalla sfortuna a volte nasce la fortuna. Vedremo”. Tre mesi dopo, la giumenta riapparve con un magnifico stallone selvaggio che le caracollava accanto. Era gravida. I vicini accorsero a congratularsi con il felice proprietario: “Avevi ragione ad essere ottimista: perdi un cavallo e ne guadagni tre!”. “Le nuvole portano la pioggia ristoratrice, ma talvolta anche l’uragano devastatore. Nelle pieghe della fortuna sta nascendo la sfortuna. Stiamo a vedere”. L’unico figlio del contadino addestrò il focoso stallone e si divertiva a montarlo. Poco tempo dopo, fece una caduta da cavallo in cui rischiò di rompersi il collo: se la cavò con una gamba rotta. Ai vicini, che ancora una volta tornavano a snocciolare il loro compianto, il filosofo di campagna rispose: “Sfortuna, fortuna... Chi può dirlo? Tutto cambia in questo mondo impermanente”. Alcuni giorni più tardi, nel distretto venne decretata la mobilitazione generale per respingere un’invasione mongola. Tutti i giovani furono mandati a combattere, e ben pochi di loro tornarono a casa. Ma il figlio del contadino, grazie alle stampelle, poté sfuggire al massacro.[1]

 

La Vita ci parla in tanti modi. E sa sempre trovare i modi e i tempi giusti. Solo che noi, eternamente distratti, facciamo una gran fatica a comprendere. È una semplice storia quella che abbiamo letto. Una storia di saggezza.

Quale saggezza? Quella che ci fa guardare le nuvole e, con un sorriso, ringraziarle. E non confonderle, dentro di noi con la nuvola cui affidiamo i nostri file. Perché il cloud è una roba senz’anima, oltre che grande divoratore d’energia. Le nuvole, quelle vere, sono segno di salute e portano salute. Per la terra. Per noi. Possono nascondere il sole, fonte di luce e di calore, e donarci la pioggia. Di cui abbiamo tanto bisogno. La saggezza che ci fa guardare i fiumi, e scoprire che anch’essi, apparato circolatorio del pianeta, sono portatori di vita. Se riprendiamo a rispettarne il percorso naturale. La saggezza che ci fa guardare al pianeta, nostra casa comune, ritrovando per esso il rispetto che abbiamo per le case di cemento che ci siamo costruiti.

Proprio questi giorni, il 24 luglio, abbiamo esaurito le risorse che la terra può metterci a disposizione per quest’anno. Cinque mesi in anticipo. Earth overshoot day, l’abbiamo chiamato, il giorno dell’esaurimento della terra. Il nostro consumo, infatti, procede a un ritmo pari a quasi il doppio di quello con cui l’ecosistema terrestre si può rigenerare. E in un solo anno il giorno dell’esaurimento l’abbiamo anticipato di sette giorni. Per non parlare di noi italiani. Noi le risorse di quest’anno le avevamo già esaurite il 6 maggio: anche noi anticipando rispetto all’anno scorso. Undici giorni. Se ogni abitante del pianeta vivesse come viviamo noi, ci vorrebbero quasi tre pianeti per sostenere i consumi globali.

 

Possiamo chiederci dove siamo? Ci muoviamo come se il tempo che abbiamo su questa terra sia infinito, prigionieri come siamo del desiderio di avere sempre di più. Dimentichi che nudi siamo venuti sulla terra e nudi ne usciremo.[2] E nello stesso tempo con la presunzione di poter guidare la vita, non considerando che nessuno ci dà la garanzia, semplicemente, che domani saremo in salute come lo siamo oggi.

 

Tempi e modi giusti, dicevo, la Vita sa trovare per parlarci. Ma il rischio è che noi viviamo dis-connessi da lei, iper-connessi come siamo con la tecnologia cui, senza accorgercene, stiamo affidando compiti che non sa né può risolvere. Specie e-voluta ci consideriamo. La più evoluta tra quelle che abitano la terra. Ma così in-volutache non ci rendiamo conto che siamo gli unici, tra tutti i viventi, occupati a distruggere l’ambiente che ci ospita. Guardiamo gli animali, saggiamente rispettosi dell’equilibrio ecologico. Guardiamo le piante, maestre di solidarietà, tra loro e con la terra da cui traggono alimento.

Il tempo di vita medio d’una specie, sul nostro pianeta, è di cinque milioni di anni. Homo sapiens, a tutt’oggi, di anni ne ha solo 300mila. E di danni ne ha già fatti tanti. Che farà la terra con noi?

 

 

[1] P. Fauliot, Racconti dei saggi taoisti

[2] Cfr. Giobbe 1,21