VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

8 giu 2025

Lo Stato d’Israele è prigioniero di sé stesso. E i nostri governi?

Gaza, la vergogna

Oltre 14mila bambini rischiano di morire di fame se gli aiuti salvavita non riprenderanno ad entrare nella Striscia di Gaza. È il drammatico allarme lanciato questi giorni dalle Nazioni Unite. Solo nell'ultima settimana, oltre quattrocento persone sono morte e più di mille sono rimaste ferite. Quasi due milioni, metà dei quali bambini, vivono in condizioni di grave insufficienza alimentare. Una carestia di massa. I pochi camion cui al momento è permesso d’entrare non bastano. I gazawi sono a rischio di sopravvivenza. Ogni ora conta. Le organizzazioni umanitarie sono pronte ad intervenire. Ma non ci sono viveri da distribuire. Il governo di Israele ne fa entrare con il contagocce. Dei primi cinque camion che il 19 maggio son potuti entrare, due portavano sudari, lenzuoli con cui avvolgere i cadaveri di donne uomini e bambini morti per fame o per le bombe. E finora solo poche centinaia ne sono arrivati. Durante l’ultima tregua ne entravano più di cinquecento al giorno. E non erano sufficienti.

 

Israele è un paese occidentale, come l’America o i paesi europei. Non è il nemico dell’occidente. Non è Putin. Che scatena guerre per scardinare l’ordine mondiale. E gioca, sulla testa degli ucraini e dei suoi stessi concittadini, pace sì e pace no. Lavato e stirato. Rinchiuso, con il coraggio d’un coniglio, nel suo Cremlino dorato. Sostenuto e benedetto dal suo ex collega del Kgb, il patriarca Kyrill e da tutti i suoi cortigiani.

Israele è caduto mani e piedi nella trappola che Hamas, con l’aggressione del 7 ottobre, gli ha teso. E da allora non sa uscirne. Una trappola a incastri molteplici.

Innanzitutto, ha reso Netanyahu, il capo del governo, inamovibile da quella poltrona. In una sorta di complicità perversa tra il bisogno d’un governo forte, come sa ogni nazione che si trovi in guerra, e la necessità per lui di conservare il posto per evitare di vedersi condannato per reati di frodi e tangenti in cui si trova coinvolto.

Non solo. Continua ad affrontare un gruppo terroristico, Hamas, inviando l’esercito, come se si trattasse d’una guerra sul campo. Quasi non sapesse che il terrorismo non si combatte con un esercito, ma con interventi e strategie che parlino la medesima lingua, che attivino le stesse dinamiche e giochino con le stesse regole.

Ancora. Sembra non rendersi conto che con l’invasione di Gaza, gli oltre cinquantamila morti che ha provocato e la fame cui sta costringendo il resto della popolazione, non solo non indebolisce Hamas, ma produce un triplo effetto negativo. Isola il paese dal resto del mondo, compreso quello occidentale; alimenta un antisemitismo che non appartiene solo al passato, ma è vitale anche al presente; e ultimo, ma non ultimo per gli effetti drammatici che comporta, non vede che ogni morto o ferito tra i palestinesi è seme che spande per la nascita e la crescita di nuovi potenziali terroristi.

Ma c’è un altro aspetto. Se possibile, ancora più drammatico. Ed è questo che fa parlare di crimini contro l’umanità. Impedire a cibo e medicinali di entrare nella Striscia comporta morte e malnutrizione per i suoi cittadini. E le persone che più di altri ne faranno le spese sono i bambini. Che con la sottoalimentazione cui sono costretti rischiano di crescere, se pure potranno sopravvivere ai bombardamenti, sviluppando carenze che mineranno a vita il loro stato di salute, fisica e mentale.

 

Ho parlato di antisemitismo. È così che chiamiamo quell’atteggiamento di caccia all’ebreo che, in modi e tempi diversi, ha segnato la storia degli ultimi duemila anni. Dalla diaspora dopo la distruzione di Gerusalemme da parte delle legioni di Tito, nel 70 d.C., fino al dramma della Shoah. E oltre.

Grave tuttora è il rischio di confusione. Tra lo Stato d’Israele e gli ebrei che vivono nel resto del mondo, da una parte. E dall’altra, il persistere di una definizione etnica o addirittura razziale quando si parla di ebraismo o di ebrei. È importante chiarire, primo, che non tutti gli ebrei sono lo Stato d’Israele, poi, con buona pace dei piccoli hitler e mussolini di oggi, che essere ebrei significa semplicemente aderire ad una religione. L’ebraismo è una religione. Con la sua storia, la sua cultura e le sue tradizioni. Come lo è il cristianesimo o l’islam. Non si è ebrei perché si nasce da genitori ebrei: non esiste sangue ebreo. Come non si è cristiani o musulmani perché figli di cristiani o di musulmani. Voler sostenere oggi, e giustificare, una caccia all’ebreo è solo segno di pregiudizio. E, come ogni pregiudizio, di inciviltà. Da qualunque parte provenga e su qualunque ragione la si voglia fondare.

Altrettanta inciviltà, vero crimine contro l’umanità, è affamare una popolazione con la scusa di combattere il terrorismo. E se noi lasciamo che i nostri governi non intervengano per fermare questa strage, non siamo diversi dai tedeschi o dagli italiani che ai tempi della shoah si giravano dall’altra parte.

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E se soffrite ancora di sonni tranquilli, scrivete sul comodino anche questa parola, SUDAN. Due anni di guerra, dodici milioni di profughi.