Nel momento in cui la specie homo raggiunge la consapevolezza di sé, homo sapiens, inizia a farsi domande che oltre-passano il puro livello materiale del come procurarsi il cibo o come trovare un alloggio dentro cui sentirsi protetto. E la domanda delle domande con cui inizia a misurarsi lo pone in relazione con sé stesso e con qualcosa/qualcuno che sente essere su un piano altro da sé. Troppe cose incontra che non dipendono da lui: come e dove trovarne l’origine? Inizia così una ricerca che si esprime anche attraverso immagini, mentali e materiali. Graffiti, manufatti, costruzioni, luoghi sacri. Racconti, miti, che provano a dare una forma più organica al mondo. Il mondo che egli sperimenta nella concretezza del quotidiano, e un mondo oltre, non ben definito all’inizio, ma immaginato, costruito e sempre più strutturato. Nascono così l’Olimpo, il Paradiso, l’Aldilà, il Cielo... e chi vi abita.
Sfogliamo oggi tre miti che, scritti nelle prime pagine della Bibbia, Gènesi, sono alle radici della nostra cultura. È nell’incontro tra il pensiero ebraico e quello greco romano, infatti, che nasce l’occidente. Tre racconti delle origini vi troviamo. Per la Bibbia il mondo, tutto ciò che esiste, umanità compresa, ha origine in un atto di creazione. Ma com’è questo Creatore? Che immagine emerge da questi racconti che, nati in tempi e luoghi diversi, prendono forma scritta tra il X e il VI secolo a.C., nell’area medio orientale. Tre pagine, tre immagini. All’apparenza poco conciliabili tra loro, ma in realtà, lette con attenzione, sono pagine che si integrano e si arricchiscono a vicenda.
Genesi 1 ci presenta un Dio che crea il mondo con la Parola. Con dieci parole, in sei giorni. Dio disse, scrive il testo, e subito ciò che Dio dice si realizza. Fino a dar vita, il giorno sesto, all’uomo e alla donna. Che fa a immagine di sé. A conclusione di ogni giorno il Creatore si ferma e vede che ciò che ha fatto è buono. E alla fine del sesto constata che il tutto è molto buono. Un Dio grande e potente esce da questo racconto. Un Dio onni-potente.
Se il Dio del primo capitolo arriva con tutta la sua grandezza, in Genesi 2 troviamo un Dio che si presenta nella sua umanità. Vede che sulla terra che ha fatto non c’è arbusto né erba perché ancora non aveva fatto piovere e, soprattutto, perché non c’era l’essere umano che lavorasse il terreno. Allora, dice il testo, plasmò l’essere umano con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita. Poi, però, guardandolo bene, riflette: non va bene. L’umano è solo, non è in relazione. Allora prova a fargli dei potenziali compagni: plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici... Ma l’umano non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Si ferma. Riflette. In realtà l’ha fatto completo, in relazione, ma non ha finito il lavoro: così fece scendere un torpore sull’umano che si addormentò. E nel sonno/sogno l’umano, ancora indifferenziato, si scopre nella sua pienezza: finalmente è donna e uomo. Ora l’opera è completata. Questa creatura è in relazione, ha un aiuto che le corrisponda: è uomo e donna! Grande questo Dio che procede per tentativi ed errori. È la sua umanità. Ora, completato il suo disegno, c’è a chi affidare la cura del creato.
Nel terzo racconto, Genesi 3, emerge un Dio padre-e-madre. Prima mette in guardia questi due figli, quasi a volerli trattenere con sé: dice loro che è pericoloso procedere nella conoscenza del bene e del male, cioè del mondo di cui sono parte. Potrebbero morire. Poi, però, consapevole che è Lui stesso ad aver messo nel loro cuore il desiderio di conoscere, li accompagna in questo processo di crescita. Non possono restare per sempre nell’infanzia (nel paradiso terrestre), e mostra loro cosa significa diventare adulti: avranno bisogno di vestirsi, di procurarsi il cibo lavorando la terra, e questo comporta fatica; come sarà fatica mettere al mondo i figli, essere genitori; e scopriranno, infine, che della vita fa parte anche la morte. E quando, ormai grandi perché la loro infanzia è morta (non loro muoiono, ma la loro infanzia!), dovranno lasciare il paradiso e andare nel mondo, da buon padre-e-madre li provvede del primo vestito, fa per loro tuniche di pelli.
Quando leggiamo questi miti, il pericolo sempre in agguato è che nel leggerli restiamo prigionieri d’una sorta di ipnosi teologica. Ci portiamo dietro, cioè, una lettura che appartiene a tempi e culture d’un passato che oggi è privo di senso. Con il rischio che, condizionati da questo, continuiamo a parlare di una donna fatta per l’uomo, quindi subordinata, o di una sorta di peccato, che chiamiamo originale, che alla luce della riflessione teologica e delle scoperte scientifiche attuali, emerge privo d’ogni fondamento.
È qui lo specchio. Guardare noi stessi significa ascoltare il bisogno di trascendenza che abita il nostro cuore; e guardare l’immagine, le immagini, che ci siamo costruiti di Dio ci permette di conoscere meglio chi e come siamo.
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Per approfondire: E se invece... (1 e 2) 2024, Grazie, Eva 2024, Il femminile dell'uomo 2020, Eva 2019 (con relativi rimandi)