22 set 2024
Non è la paura del male a liberarcene, ma il richiamo del bene
Giornalismo tossico
Telegiornali pieni con i dettagli dell’ultimo omicidio. Pagine di giornali, pagine intere, con tutti i particolari. Giorni su giorni. La dichiarazione del vicino, la parola d’un amico, una foto. Era una persona dolce. Sorridente. Sempre disponibile. Era un ragazzo chiuso, timido, introverso. Un grande lavoratore. Una famiglia tranquilla… Poi gli avvocati, le dichiarazioni o i silenzi davanti al magistrato, i verbali degli interrogatori, le contraddizioni, la confusione. Poi le chat. Un messaggio, una parola. Cosa avrà voluto dire con quella parola. E con quella foto. E con quanto ha postato due giorni prima. E quella ricerca su Internet. Le solite osservazioni, le solite domande, le solite risposte. Finito? No. Arrivano gli specialisti. Tutti psi. Psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, psicoanalisti, psicopedagogisti, psico-tutto. E i criminologi? Loro ti sanno spiegare le cause, l’origine, i meccanismi, i processi, mentali e reali, le ragioni, i segni che avremmo potuto vedere se attenti e vigili. Tutti sanno. Tutti dicono. Ma alla tv non bastano i telegiornali. No. Allora ci organizza programmi interi che riempiano le serate. Ne colmino il vuoto. E qui, di nuovo, inviati, vicini, parenti, amici, avvocati. E gli immancabili esperti.
Cari giornalisti, mi spiegate perché c’imbandite abbuffate di cronaca nera? Sembrate di quegli animali saprofagi, che vivono scarnificando i cadaveri. Quando inizio a scrivere un articolo io mi faccio una domanda: a chi voglio arrivare e con quale scopo. Voi ve la fate qualche domanda? Mi chiedo cosa volete raggiungere rimpinzandoci di nera. Quale scopo vi prefiggete. Qualcuno dice che così i giornali si vendono di più. Che così aumenta lo share su quella rete o su quel programma. È per questo che lo fate?
La tv, la stampa in genere, ha anche una funzione educativa. Sì, educativa. E non venitemi a dire che è un pensiero vecchio. Perché niente di quanto ci somministrano i mezzi di comunicazione è neutro. Una parola, un incontro, una persona. Il modo in cui raccontano, le parole scelte, i toni, le immagini, lo spazio che vi dedicano. Una pagina o t’aiuta a pensare o t’aiuta a rimbambirti di più. Niente ti lascia come prima. Tutto è stimolo: o educativo o diseducativo. Meno neutrale ancora è un programma televisivo. Anche un telegiornale. Impariamo dai nostri politici: guardiamo quanto litigano per accaparrarsi l’una o l’altra rete, l’uno o l’altro programma. O anche l’uno o l’altro giornale. Sanno bene, loro, quanto questi mezzi siano influenti sul pensiero e sulle scelte dei cittadini.
Ma c’è un altro aspetto, secondo me, che il giornalismo di casa nostra non vuol vedere. È il fenomeno dell’emulazione. Non ci rendiamo conto di quanto messaggi continui di violenza, infarciti di dettagli su dettagli, rendano questa più accettabile. Più normale. C’è un pensiero, si dice fosse di Goebbels, il ministro della propaganda di Hitler: ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità. Qui non di bugie o di falsità si tratta. Si tratta qui di come il continuo parlare di omicidi, femminicidi, violenze tra ragazzi, stupri di gruppo, renda questi fatti sempre più componenti normali della vita. E se all’inizio queste parole suscitano repulsione, pian piano ci facciamo l’orecchio, l’occhio. Il pensiero. Tutto questo non fa più scandalo. Subentra l’abitudine. E diventa ingrediente del quotidiano. Quindi accettabile. Brutto sì, ma non poi così obbrobrioso o repellente. È parte della vita.
E nel momento della crisi o della difficoltà sei già dentro un pensiero: se lo faccio anch’io, in fondo non sono il primo e non sarò neppure l’ultimo. E un uomo o una donna o un ragazzo con una personalità più fragile, immatura, meno capace di tollerare la frustrazione, poco allenato a controllare i propri impulsi, trova davanti a sé la strada aperta. E perde il controllo. E agisce.
Solo una domanda: dopo che per giorni e settimane e mesi ci hanno rintronati sull’omicidio di Giulia da parte del fidanzato, con i particolari e i dettagli più pruriginosi, sono finiti i femminicidi? Sono calati? Nient’affatto. Allora bisogna tacere queste notizie? No. Ma perché non basta dirlo una volta e dobbiamo ritornarci ancora e ancora e ancora?
Ecco dov’è la funzione educativa dell’informazione. Non è l’accumulo di storie di violenza che ci allontana da essa. Se l’emulazione, che è anche imitazione, è un fenomeno naturale nel nostro processo di crescita, è solo l’incontro con il bene che ci spinge verso il bene. Il continuo vedere e sentire il male, sia pure come pericolo o come minaccia, inquina la mente. C’imprigiona nel male. Violenza richiama violenza.
Cari giornalisti, grande è la vostra responsabilità. Ricordate, è di bontà, di pazienza, di rispetto, di tolleranza, di solidarietà, di apertura d’animo che abbiamo bisogno. Imbanditeci la tavola con qualcosa di buono e di utile…