VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

3 dic 2023

Tra tanto rumore è difficile costruire strategie efficaci

Un silenzio costruttivo

Per combattere il patriarcato dovremmo seriamente mettere in discussione e sotto accusa l’ideologia e la mentalità cattolica. Se no si guarderebbe il dito e non la luna. Così scrive in un suo post l’assessore di un comune. Risposte e controrisposte l’hanno accompagnato. Inevitabile, trattandosi di personaggio pubblico. Buona informazione e sufficiente equilibrio, che dovrebbero essere guide costanti per tutti, più ancora si richiedono a chi occupa posti di maggiore responsabilità. Anche queste parole entrano tra le tante dichiarazioni che hanno accompagnato l’ennesima tragedia, di una donna uccisa da colui che pensava di amarla e di un uomo che s’è visto travolgere da emozioni e sentimenti di morte.

Non mi piace il tanto rumore di questi giorni. E non penso al suono dei campanelli o delle chiavi di casa dei nostri ragazzi. Quanto alle infinite dichiarazioni dei tanti politici per i quali non s’ha da perdere occasione per pronunciare sentenze o addirittura per aggredirsi gli uni gli altri. Ecco allora l’inevitabile ministro cattolico – cattolico!? – che condanna il colpevole al doppio ergastolo, gettando via la chiave; o altri, di qua e di là, pronti a rinfacciarsi reciprocamente il marchio di figli del patriarcato. Tutti nella convinzione che più la dicono grossa, più alto sarà il consenso. E Giulia e Filippo, e insieme con loro quanti hanno vissuto la medesima tragedia, ridotti a manichini da campagna elettorale.

 

Patriarcato. Sembra la parola chiave di questi giorni. Usata e abusata. Magari senza coglierne neppure il significato storico culturale che nel tempo ha veicolato. Patriarcato indica la legge del padre (dal greco patēr padre e àrcho comando). «Se vuoi considerare la qualità di un uomo, è facile dire che è questa: essere capace di amministrare le questioni della sua città, e gestirle in modo da dare beneficio agli amici e danneggiare i nemici, ed evitare di danneggiare se stesso. Se invece vuoi parlare della qualità di una donna, non è difficile spiegare che ella deve amministrare bene la casa, prendersi cura dell’interno della proprietà, ed essere obbediente al marito».[1] Siamo nel IV sec. a.C. E ce lo siamo portati fino ai nostri giorni.

È vero che anche il cristianesimo ha contribuito al mantenimento e alla trasmissione di questo pensiero. Anche alla luce della tradizione biblica. Abramo, Isacco e Giacobbe sono per definizione i patriarchi. Le radici della storia. In Abramo collocano la propria origine, per cultura e tradizione, sia il popolo ebraico sia i popoli arabi.

La rappresentazione stessa del divino, che dalla Bibbia per secoli abbiamo recepito, è quella di un Dio al maschile. Una delle immagini più frequenti che vi troviamo per descrivere la relazione tra il Creatore e noi umani è quella di uno sposo (Dio) e una sposa (l’umanità). Immagine ricca di significato quando dice intimità nel rapporto. Condizionante, però, se essa diventa designazione e definizione di identità di genere. Da tempo ormai una lettura più attenta e capace di oltrepassare i condizionamenti culturali in cui i testi sono nati ci permette di cogliere il maschile-e-femminile in Dio. O, in altre parole, la sua paternità-e-maternità nei confronti dell’umano.

Qui è il pensiero cristiano e cattolico oggi. E, pur comprensibile, è un peccato che anche uomini di cultura si ritrovino ancora prigionieri di schemi mentali che fanno parlare di ideologia e mentalità cattolica da mettere seriamente in discussione e sotto accusa.

 

Il problema è che tutti abbiamo bisogno di attivare la consapevolezza che certi stereotipi culturali continuiamo ad alimentarli. Guardiamo le relazioni in famiglia: siamo sicuri che possiamo parlare di parità di genere, di pari dignità, di pari corresponsabilità tra uomini e donne? Tra i coniugi, tra fratelli e sorelle. Guardiamo la politica, la scuola, il mondo del lavoro.

Il governo vuole attivare un’ora di educazione affettiva sessuale nelle scuole. A cosa serve un’ora settimanale, ma fossero anche due o dieci, se il prof o la prof continuano a fare battutine su colleghe e colleghi, o apprezzamenti, fatti anche solo di sguardi, nei confronti di una o uno tra studenti o studentesse. Se gli insegnanti non colgono e non si attivano nel costruire la qualità delle relazioni che vivono i loro alunni, come si rapportano tra loro, bambine e bambini, ragazzi e ragazze. Nella realtà. E nel mondo virtuale, il mondo dei social, loro piazza privilegiata d’incontro.

Facciamo pure rumore. Ma poi è di silenzio che abbiamo bisogno. Quando il rumore è troppo, come questi giorni carichi di tanta emotività, lo spazio per le analisi e le riflessioni che portino a costruire strategie efficaci di cambiamento si restringe. Fino a rischiare di scomparire.

 

Dal resto del mondo: più di centomila ragazze, sopravvissute agli stupri durante la guerra in Etiopia, ora sono rifiutate dalle loro famiglie.[2]

 

[1] Platone, Menone 71e

[2] Washington Post, 26 nov