VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

22 gen 2023

Non è paritaria la percezione della genitorialità

Tra madri e padri

Questi giorni i social hanno disquisito, non sempre con gentilezza e rispetto, sulla decisione di una giornalista della Cnn di tornare in Ucraina per uno speciale in occasione del primo anniversario dell’inizio della guerra. La discussione nasce dal fatto che questa giovane donna ha già due figli ed è al quinto mese di gravidanza.

 

Posizioni diverse sono emerse. Tra favorevoli e contrari alla sua decisione, con motivazioni che meritano entrambe d’essere ascoltate. Chi approva e condivide la sua scelta evidenzia la passione con cui lei svolge la sua professione, e vede in questo un messaggio d’incoraggiamento nei confronti di chi, anche in momenti di difficoltà, sa portare avanti il proprio lavoro. E insieme sottolinea l’energia che una donna sa mettere in campo. Chi invece non condivide, due aspetti evidenzia. Da una parte vede questa decisione come potenzialmente lesiva nei confronti dei diritti conquistati dalla donna in tanti anni di movimenti e di battaglie per il riconoscimento della maternità, sia sul piano personale sia come valore sociale. Dall’altra evidenzia il pericolo cui espone se stessa, e il bambino che vive in lei, non solo recandosi ad una lavoro già di per sé ad alto rischio, come quello di inviata, ma esponendosi addirittura in territorio di guerra. Luogo di pericolo per chiunque. Rispondendo a queste obiezioni, la giornalista ha fatto notare, tra l’altro, come molte donne si trovano a dover partorire, in Ucraina e in altre aree di guerra, e non hanno alcuna possibilità di recarsi altrove.

In ciascuno di noi, credo, prevarrà più una posizione o più l’altra. Ed è giusto che questi pensieri li possiamo esprimere. Personalmente, pur riconoscendo la legittimità della sua scelta, qualche riserva nel pensare ad una donna che al quinto mese di gravidanza va su un terreno di guerra... fosse mia moglie o mia figlia le chiederei di non farlo. E non riesce a rassicurarmi completamente neppure l’alta protezione che un’agenzia come la Cnn è in grado di garantire ai suoi collaboratori.

 

Com’era da aspettarsi, una scelta così particolare ha portato poi ad allargare il campo della riflessione, e siamo entrati sulla diversità con cui il nostro pensiero guarda l’attività lavorativa di una donna e di un uomo. Madre e padre. Ed è su questo che vorrei riflettere con voi. Perché le obiezioni a questa situazione particolare sono diventate poi obiezioni sull’opportunità, addirittura legittimità, che una donna madre possa decidere un lavoro così rischioso come l’inviata di guerra. Obiezione che non viene fatta, o almeno non con la stessa forza, ad un uomo, anch’egli padre di famiglia.

Se quest’osservazione proviamo ad ascoltarla attentamente, di sicuro sentiamo risuonare in modo diverso le due obiezioni nel nostro pensiero. Tutti siamo cresciuti in un contesto in cui alla mamma è affidato in misura maggiore, sicuramente diversa, il compito di seguire e accudire i figli. Di prendersene cura. E non solo nei primi mesi di vita, periodo in cui è la natura stessa, con l’allattamento, a sostenere un legame tanto particolare. Ma anche in seguito. Perché è all’interno di questo modello che siamo cresciuti. Ed è a questo che, istintivamente, ricorriamo.

 

Appena qualche giorno fa ho incontrato due genitori di un bambino di 7 anni che vedono naturale che questi da sempre dorma con la mamma, e la cameretta del figlio sia diventata la camera del babbo. Ragioni particolari? No. È così. Conoscete voi famiglie in cui le posizioni sono invertite? Osserviamo il rapporto con la scuola: chi va, di solito, a parlare con gli insegnanti? Anche se entrambi i genitori lavorano, è la mamma. Chi si occupa di contattare il pediatra e di accompagnarvi il figlio, anche grandicello, dieci undici anni?

Provo con un altro esempio. Mettiamo che entrambi i genitori si trovino di fronte ad una proposta di lavoro che costringe a passare qualche giorno della settimana fuori casa, e la proposta che riceve lei sia economicamente molto più vantaggiosa: d’istinto la scelta non va sul lavoro di lui? Ci è molto più difficile accettare qualche giorno di assenza di una mamma piuttosto che di un padre.

 

Qualcosa di sbagliato? Qualcosa da rivedere. Su cui riflettere, perché possiamo attivare una maggiore consapevolezza. Siamo ancora immersi nel pensiero che la cura è un compito prevalentemente materno. Anzi, prevalentemente femminile. Perfino le religioni sostengono questa posizione. Che diventa poi subordinazione della donna. E non mi riferisco solo agli estremismi assurdi dei talebani o degli ayatollah. Anche nella religione cattolica è la mamma ad essere esaltata, e il padre o nell’ombra o, comunque, in secondo piano – ci torneremo.

Nessuno scandalo per questo. Solo la necessità di attivare una maggiore consapevolezza su quali sono gli stereotipi culturali che guidano il nostro pensiero. Quindi le nostre scelte.