VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

5 feb 2023

Anche una madre è una persona umana

La solitudine della mamma

Una storia dolorosa proprio di questi giorni. Un bambino muore in ospedale, a poche ore dalla nascita. Forse soffocato dalla mamma che si addormenta mentre lo sta allattando. Esausta da diciassette ore di travaglio e da un parto molto faticoso, aveva chiesto aiuto “ma nessuno mi è venuto in soccorso” riportano i giornali di qualche giorno fa.

 

Istinto materno continuiamo a dire, e non vogliamo accettare che l’istinto materno non esiste. L’istinto è quel meccanismo psicofisico che attiva automatismi nei comportamenti. Tipico degli animali e delle piante, entrambi programmati per permettere la vita, dell’individuo e della specie. Nell’essere umano questo meccanismo è sempre mediato dalla mente, dall’autoconsapevolezza che la specie ha sviluppato nel corso della sua evoluzione. In homo sapiens infatti, mente e corpo, biologico e psichico, sono interconnessi. Non solo. Questa dimensione psico-fisica opera in costante interazione con la cultura. Al punto che diventa difficile in determinate situazioni definire cosa appartiene all’una o all’altra o all’altra ancora.

Guardiamo la maternità. Se non sopraggiungono ostacoli, il corpo sa cosa deve fare, quali processi attivare sia nel predisporsi alla fecondazione sia nel portare avanti una gravidanza. Sa come e quando attivare il parto e come affrontarlo. Sa produrre il latte, ricco di tutte le componenti necessarie al bambino nei suoi primi mesi di vita. E questo sapere del corpo (biologia) è in interazione continua con la mente (psicologia) di una donna. E questa, a sua volta, dialoga con la dimensione culturale. È proprio quest’ultimo aspetto che troppo spesso trascuriamo, dimenticando quanto invece sia potente nel favorire o nell’ostacolare il corpo stesso e nel condizionare la mente nello svolgimento delle sue funzioni.

 

Più d’una volta abbiamo parlato di stereotipi culturali. Sono quei pensieri, in gran parte inconsapevoli, che sottostanno alle valutazioni e alle scelte operative. Uno di questi è il mito della maternità. Sacralità della nascita, miracolo della nascita, diciamo. La madre, creatura eroica e grandiosa. Tanto grande quanto capace di sacrificarsi per la vita del figlio. Sempre pronta a rispondere ad ogni sua richiesta. Incurante della sofferenza e della fatica. Eternamente disponibile e sorridente. Il dolore, la fatica del parto? Subito dimenticati: deve dimenticarli. È difficile entrare in relazione con un neonato che è un illustre sconosciuto? Ma lei lo sa: ha l’istinto materno, diciamo. E non ci rendiamo conto che così le mettiamo davanti un modello cui una donna, in carne ed ossa, non potrà mai adeguarsi. Mai raggiungere.

 

Pochi giorni fa l’ultima coppia. Hanno un bambino di 16 mesi, nato in tempo di pandemia. Ora sono in crisi, lei vuole separarsi. Lui non è d’accordo. Chiedono una mano. Alla nascita di Luca lei si ritrova completamente sola. In ospedale, travaglio parto e i primi giorni, a causa delle restrizioni da Covid, nessuno è con lei. Marito, madre, sorella. Torna a casa. Lui non sa ascoltare la sua stanchezza. Non solo, rivendica il bisogno di avere spazi di libertà da spendere con gli amici, visto che “lavora tutto il giorno”: lei sta a casa, quindi “può riposare quando e come vuole”. Se le si avvicina, lei lo respinge, lamenta lui. Prova a dirgli che i tanti punti che le hanno messo durante il parto sono fastidio e dolore, ma queste parole non lo raggiungono. Inizia così, tra incomprensioni silenzi e litigate, un tempo che pian piano si frappone tra loro. Li allontana. Ciascuno convinto che è l’altro che non si rende conto del suo disagio. Lei, del resto, è catturata dal bambino. Luca non può che portare tutti i suoi bisogni: dal latte al pannolino alla veglia al sonno al pianto, di frequente incomprensibile.

È qui che lo stereotipo della mamma eroina diventa distruttivo. Una mamma non può lamentarsi: il suo è il mestiere più bello del mondo. Lei ha l’istinto materno! E questo pensiero diventa un virus che s’insinua nella mente di tutti. Nella mente del compagno. Ma anche nella sua. Così la stanchezza che sente, il bisogno di avere accanto a sé qualcuno con cui condividere la fatica – sì, la fatica – di prendersi cura di un neonato che ogni ora e ogni minuto della giornata dipende da te, ai suoi occhi diventa inadeguatezza. E inizia a guardarsi come una che non è come dovrebbe essere una brava mamma. E la stanchezza diventa dolore, immagine negativa di sé. Umore triste. Pianto. Con il rischio che lo specialista che passa, ignorando completamente il peso dello stereotipo materno e la fatica dei primi mesi, sentenzi... depressione post partum.

 

Se vogliamo recuperare una dimensione di salute, dobbiamo restituire ad una donna che diventa mamma il diritto ad essere anche stanca, sfinita. A non farcela da sola, a sentirsi stufa di stare sempre con il neonato appiccicato. In altre parole, ad essere semplicemente umana.

 

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V'invitiamo a leggere anche Depressione dopo il parto? (1) e (2), 2009