VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

27 ago 2023

Se l’ovulo è fecondato l’uomo non può più tirarsi indietro

Diventare genitore

Non poche questioni hanno accompagnato questo agosto. La crisi climatica sempre più evidente; gli immigrati, che aumentano ogni giorno e ancora sballottati nei porti più lontani, con i quasi duemila morti in mare dall’inizio di quest’anno; la guerra insensata che non ci decidiamo a fermare; i soliti giochini della politica; i giovani e le loro manifestazioni...

 

Ma oggi ripartiamo da una sentenza della Corte costituzionale di fine luglio (161/2023). Questo è il caso. Anna chiede che le venga impiantato un embrione crioconservato, formato qualche tempo prima con il marito. Mario si oppone: ora sono separati, e non intende diventare padre di un bambino con la sua ex. La Consulta, chiamata in causa dal Tribunale di Roma cui Mario si era rivolto, dichiara legittimo quanto previsto dalla L. 40/04 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita (PMA): «La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti [cioè dai due genitori] fino al momento della fecondazione dell'ovulo» (Art. 6,3). Ciò significa che una volta concepito un figlio, anche se in provetta, l’uomo non può più tirarsi indietro. (La donna, invece, può decidere anche di non farsi più impiantare l’embrione: è un trattamento sanitario, quindi non può essere obbligata).

 

Due ragioni di fondo porta la Consulta a sostegno di questa decisione: la disparità nel coinvolgimento fisico ed emotivo tra la donna e l’uomo nel processo di fecondazione assistita, e la dignità dell’embrione.

La donna, dichiara, compie «un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze. Essa è coinvolta in via immediata con il proprio corpo, in forma incommensurabilmente più rilevante rispetto a quanto accade per l’uomo. [...] Corpo e mente della donna sono inscindibilmente interessati nel processo di creazione dell’embrione che culmina nella concreta speranza di generare un figlio». E aggiunge: «Complementari a queste considerazioni sono quelle inerenti alla dignità dell’embrione. Questa Corte, in linea con la giurisprudenza sovranazionale e convenzionale, ha precisato che l’embrione ha in sé il principio della vita. Vita da intendersi quale vita umana, in quanto la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano».

E conclude: «Ove, dunque, si considerino la tutela della salute fisica e psichica della madre, e anche la dignità dell’embrione crioconservato, che potrebbe attecchire nell’utero materno, risulta non irragionevole la compressione, in ordine alla prospettiva di una paternità, della libertà di autodeterminazione dell’uomo». Per lui, dunque, il consenso espresso al momento del trattamento non è più revocabile. Nemmeno se è passato del tempo. Nemmeno se la coppia non è più tale.

 

Se nulla è da eccepire sul piano di diritto, due riflessioni, in particolare, possiamo fare nel merito di questa disposizione.

La prima fa riferimento all’embrione. Trovo importante, sul piano bioetico, che gli venga riconosciuta una dignità particolare, considerando che esso ha in sé il principio della vita. E di vita umana. Sul piano biologico un embrione possiede già tutte le potenzialità per diventare, una volta posto nel suo ambiente naturale, un bambino. Quindi una persona. Dall’utero della mamma, infatti, esso riceve solo il nutrimento di cui ha bisogno per crescere e svilupparsi.

È questione aperta se l’embrione possa o debba essere considerato persona. Sul piano giuridico al momento per la nostra legislazione non lo è. Sul piano bioetico il confronto è aperto. Importante, mi pare, che gli venga riconosciuta la dignità di avere in sé il principio di vita umana.

 

L’altra considerazione è legata al significato che per i due adulti ha il processo di PMA. Al momento della fecondazione dell’ovulo, quindi alla nascita dell’embrione, Anna e Mario erano dentro un progetto di famiglia, e mettere al mondo un bambino, insieme, aveva significato all’interno di questo. Ora il loro disegno è naufragato, sono separati, e con esso necessariamente anche il progetto di genitorialità condivisa.

E di fronte alla domanda che senso ha, oggi, far nascere questo bambino, dobbiamo considerare che ci sono tre soggetti in campo. Ciascuno con la propria richiesta e con le proprie ragioni.

L’embrione, che chiede il rispetto per il principio di vita, umana, che in se stesso contiene. Anna, che in questa richiesta di impiantare l’ovulo fecondato vede il completamento naturale di un processo lungo e faticoso che l’ha vista molto coinvolta, sul piano sia fisico sia psicologico. Mario, che ora sembra dimenticare che nel momento in cui fa fecondare un ovulo con il suo seme si assume la responsabilità come padre, di fronte ad un potenziale figlio. Questo, anche se il progetto di famiglia con la sua compagna dovesse svanire. Come succede, purtroppo, in tante famiglie che si separano.

 

Per chiunque, mettersi nella condizione in cui può nascere un bambino significa anche assumersi la responsabilità di diventare genitore.

 

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