Psicoterapia sistemica e Psicoanalisi
Un incontro possibile

 

di Federico Cardinali, Commento al Convegno "Psicoanalisi e psicoterapia sistemica. Un confronto nella terra e nella clinica" Falconara, 29-31 gennaio 1988 - in Terapia Familiare n. 27/1988

"Psicoanalisi e psicoterapia sistemica; un confronto nella teoria e nella clinica" è il titolo di un convegno tenutosi a Falconara (Ancona) il 29, 30 e 31 gennaio 1988. Il convegno era organizzato dalla locale U.S.L. promosso dal Servizio di Salute Mentale.
Queste note non vogliono essere una relazione sui lavori del Convegno: esse sono solo alcune riflessioni personali in margine agli stimoli di queste giornate.

Un’osservazione iniziale vorrei fare sull’organizzazione di quest’incontro. Il Convegno era organizzato da una U.S.L., un ente pubblico, una cellula di questo organismo tanto bistrattato che è il Servizio Sanitario Nazionale. La prima cosa da rilevare è la positività, in linea teorica, di un fatto come questo: fa pensare che anche nei servizi pubblici c'è posto per lo studio e il confronto tra gli Operatori. E non è poco, considerando quanto una prassi di risposta all'urgente e al contingente rischia di diventare la norma del comportamento quotidiano cui tutti ci si deve adeguare, presumendo magari di poter agire e intervenire senza modelli di riferimento teorici acquisiti. Ne va dato atto agli Organizzatori.

Passando ora ai temi del convegno.
Sottotitolo era "un confronto nella teoria e nella clinica". Viene spontaneo chiederci se questo confronto c'è stato. Prima ancora però mi pare necessario porre un'altra domanda: confronto tra chi?
Perché, se la psicoanalisi - uno dei due personaggi - si è presentata sulla scena, su questa scena, come un sistema piuttosto omogeneo, la psicoterapia sistemica ha dato di sé un'immagine così variegata e polimorfa da rendere immediatamente evidente che nella realtà italiana non esiste una psicoterapia sistemica. Sotto la sua bandiera ne abbiamo sentite di (quasi) tutti i colori: perfino rapidissimi quanto efficacissimi modelli d’intervento in situazione di profonda sofferenza mentale che ci riportano più ad immagini da vecchio santuario dei miracoli che non al lavoro e alla fatica, umana, di una psicoterapia...
Dunque, quale psicoterapia sistemica? Andolfi, Bogliolo, Cancrini, De Giacomo, Malagoli Togliatti, Nicolò, Onnis, Vella... ingredienti troppo diversi per un piatto unico! Al di là del soggetto/oggetto dello studio e dell'intervento - la famiglia - tra alcuni di questi relatori era piuttosto difficile cogliere qualcos'altro di condiviso, sia nella teoria che nella clinica. Colpiva, a questo proposito, la tavola rotonda guidata da alcuni quesiti posti dalla Malagoli Togliatti ai partecipanti: Andolfi, Cigoli, Migone e Zavattini. Rispetto a certi modelli meccanicistici, l'intervento di Andolfi mi pare ha avuto il merito di evidenziare alcuni elementi di complessità del pensiero relazionale-sistemico applicato alla psicoterapia familiare - perché è di questa che si è parlato -, con la sua capacità di "attenzione" all'individuo, alla famiglia nel suo insieme e alla loro relazione reciproca, nonché al terapeuta, anch'egli individuo con i suoi processi mentali e la rete di relazioni emozionali che si instaura tra questi, la famiglia e i singoli membri. Una tale complessità, a mio parere, fa sentire vicino e possibile il confronto più tra scuole di pensiero diverse (quella psicoanalitica e quella sistemico relazionale) che tra prassi operative raccolte piuttosto confusamente sotto la bandiera del "sistema".

Per troppo tempo la psicoterapia familiare – traduzione (trans-duzione) terapeutica dell'ottica sistemica - è stata identificata, da chi si definisce dentro e da chi si considera fuori, come un insieme di tecniche e di strategie da calare con modalità quasi asettiche e aspecifiche all'interno del sistema-famiglia. L'individuo, per assunto, non è conoscibile; il sistema ha le sue regole; introduci determinati input e avrai quelle risposte, sempre e dovunque. Ho scritto "è stata identificata", ma devo riconoscere che il passato prossimo che ho usato ha solo il valore di realizzazione di un desiderio, perché per la verità ancora molti continuano su questa strada (numero fisso di sedute, in prima seduta fai questo, in seconda quest'altro, e così via...e il risultato è garantito!). Ne abbiamo sentito anche in questo Convegno.
Se è vero che la famiglia è un insieme di individui in relazione affettivamente significativa e che proprio in quanto sistema essa è diversa dalla sommatoria dei suoi membri, è pur vero che non si può presumere di comprenderne il funzionamento senza con-prendere anche il funzionamento individuale. In altre parole, se si può parlare di una funzione mentale familiare (sistemica), essa va osservata in relazione con i sottosistemi mentali individuali, e gli stessi comportamenti come le emozioni sono anche espressione di questo rapporto dialettico.
Davvero stimolante, a questo proposito, l'intervento puntuale e articolato che A.M. Nicolò ha fatto nella sua relazione finale al Convegno, dove ha anche indicato, concretamente, alcune possibili strade di incontro tra le due scuole di pensiero: quella analitica e quella relazionale.

Ora, la psicoterapia sistemica deve porsi seriamente alcune domande quali: 1) qual è il funzionamento, quali sono i livelli di funzionamento della mente sistemica; 2) quali i livelli di funzionamento della mente individuale; 3) quali i processi che scaturiscono per l'individuo e per la famiglia in questa reciproca interazione.
Per entrare ancora di più nel sistema terapeutico: anche lo psicoterapeuta ha una sua mente con una capacità di pensiero e di elaborazione che si è venuto formando nel corso della sua storia all'interno di una rete di relazioni emozionali (nella sua famiglia prima, nel corso della sua formazione professionale poi), ed ogniqualvolta entra in un'area terapeutica egli stabilisce una relazione emotivamente significativa, e non solo per la famiglia nel suo insieme, ma anche per ciascuno dei membri e per lui stesso (1).
Le sue emozioni allora, come la sua capacità di elaborazione della sofferenza diventano uno strumento prezioso per la comprensione della famiglia e per il processo di cambiamento che, se è vero cambiamento, non avviene se non nella triplice direzione di cambiamento della famiglia, dei singoli membri come individui e, non ultimo, del terapeuta stesso. Se è vero che l'analista lavora sulla distonia tra mondo interno e mondo esterno del paziente e sulla sua tendenza a non riconoscere le dimensioni reali dell'oggetto e delle relazioni con esso facendo prevalere le proprie proiezioni, non mi pare che sia poi così "altro" il campo di intervento di un terapeuta familiare; anche se "altro" è il metodo, come ci ricordava Cigoli. Non è certo la stessa cosa, per esempio, né si induce lo stesso livello di intensità e di tensione, rispetto a un setting duale, quando la 'famiglia interna' di un individuo si trova con-presente con le altre 'famiglie interne' di ciascuno dei membri e con la stessa 'famiglia reale'...

La psicoanalisi certo colpisce per il fascino del linguaggio: Morpurgo e Resnik hanno saputo coniugare rigore scientifico e alta poesia nei loro interventi! Ma ovviamente non è solo questo. La sua (quasi) esclusiva attenzione all'individuo le ha permesso di elaborare tutto un sistema di pensiero intorno ad esso, al suo processo evolutivo e alle sue dinamiche interne. Cogliere questo contributo da parte della psicoterapia sistemica significa che essa vuole lavorare seriamente sia con l'individuo che con la sua famiglia; così come per la psicoanalisi si fa necessario riconoscere la "relazionalità" insita nel processo evolutivo individuale, nella formazione delle strutture di pensiero e nella stessa 'relazione' terapeutica.

Quando si ha il coraggio del confronto - con il rischio che questo comporta, perché l'altro può cogliere i punti deboli (della teoria e della clinica) con maggiore libertà e puntualità - allora l'arricchimento è reciproco. Un buon esempio ci è stato fornito in questo convegno dal seminario fuori programma Resnik-Nicolò sulla discussione di un caso clinico di psicoterapia analitica di coppia.
Alcune volte si ha timore di ammettere questa con-sonanza. Certo, Freud e Palo Alto sono piuttosto lontanucci, ma di acqua ne è passata sotto il ponte, e nessuno ormai seriamente può identificare la psicoanalisi e la psicoterapia sistemica con l'uno o con l'altro!

Dunque ci si può anche parlare, magari scoprendo che si può fare della strada insieme. Senza il timore di con-fondersi.

Oggi è di moda, nella vita politica italiana, parlare di "pari dignità"... a proposito di partiti! Perché non riportare tale modello sul tavolo del confronto scientifico tra queste due scuole di pensiero senza pretese egemonie reciproche? Probabilmente potremmo cogliere le novità che ciascuna è in grado di portare verso la conoscenza dell'uomo... che è poi, in ultima analisi, l'obiettivo finale di ogni psico-scienza.
Da evitare però la con-fusione: il clinico e lo studioso non giocano lo stesso ruolo, né svolgono la stessa funzione, anche quando questi vengono a fondersi (non però con-fondersi) nella medesima persona. Il buon analista, ricordava Morpurgo, deve sapersi porre di fronte al paziente come un soggetto pervio, e di fronte alla dottrina come un soggetto forte: questa è una regola basilare, credo, per ogni studioso e per ogni clinico.

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(1) Dovrei introdurre qui il discorso sulla formazione del terapeuta relazionale - accennato al Convegno da Andolfi – e alla grave situazione italiana: didatti improvvisati, terapeuti 'diplomati' senza nessuna esperienza clinica e senza aver avuto una reale supervisione... la prassi di certe 'scuole' mi fa tanto ritornare alla mente quel periodo degli esami di gruppo e del 30 politico assicurato!

Pubblicato su TERAPIA FAMILIARE  n. 27/1988