La legge del Padre.
Ruolo paterno e crisi familiare: il padre come risorsa terapeutica

 

F. Cardinali (appunti, 1998)

PREMESSA
La storia di Edipo

 

Se c'è un male più grande del male,
questo lo ebbe in sorte Edipo.
(Sofocle, Edipo Re)

 

... Giocasta vede che Edipo è turbato per le parole di Tiresia e gli chiede di poter sapere cos'è che gli "pesa tanto sul cuore".
Questi, confuso nei suoi pensieri, le dice:
"(...) Quando nel mio andare mi trovai vicino a quel tale incrocio delle tre strade, ecco che quivi mi vedo davanti un araldo e, sopra un carro tirato da cavalli, un uomo, quale ora tu mi descrivevi; venivano in senso contrario al mio.
Il conduttore e, per la sua parte, anche il vecchio, mi sforzano con violenza a uscir fuori dalla mia strada; cosicché io, preso da collera, quello che aveva tentato spingermi fuori, il carrettiere, lo percuoto.
Allora il vecchio, veduto ciò, aspetta il momento che io gli passi sotto, rasente al carro, e mi dà giù, con la sferza a due punte, un colpo nel mezzo del capo.
Quel colpo lo pagò caro. Perché io, senz'altro, me gli avvento contro col mio bastone e con questa mia mano lo abbatto; e quello, dal mezzo del carro dove stava, subito si rovescia all'indietro e precipita giù".
Poi continua, dicendo:
"Donna, se quest'uomo ha qualche parentela con Laio, chi c'è, dimmi, più infelice di me?"

 

1.
IL PADRE E LA NORMA
La legge-del-padre

 

Se è vero che la famiglia è una realtà diversa dalla somma delle persone che la compongono, è necessario coglierne l'insieme per poter poi, all'interno di essa, guardare i singoli individui con la loro storia, i loro bisogni e i loro desideri.
E' all'interno di questa realtà nuova e più ampia che possiamo muoverci per incontrare i singoli personaggi che ne sono gli elementi costitutivi: possiamo cogliere la ricchezza di ciascun individuo che a) da una parte ne fonda l'esistenza, ma che, b) nello stesso tempo, vi trova la ragione e la significatività del proprio esistere e della propria individualità nel divenire.
La famiglia è il luogo in cui, attraverso l'interazione dinamica con gli altri, ciascuno può avviare la costruzione della propria identità e contribuire all'evolvere dello stesso processo negli altri componenti.

L'essere umano inizia la sua avventura nel mondo prima ancora di poterci muovere i suoi passi. Un bambino ha bisogno di nascere nella mente dei genitori per poter trovare, quando arriva realmente, lo spazio necessario alla sua crescita vitale. Il periodo della gravidanza diventa il momento in cui la coppia costruisce questo spazio nella propria casa.
Durante questo periodo l'uomo svolge già la propria funzione paterna attraverso la sua capacità di influenzare l'atteggiamento della madre nei confronti del figlio che è dentro di lei. Così come la donna esercita la sua funzione materna contenendo il figlio, all'uomo è richiesto di porsi, in questo periodo, come colui che può dare contenimento alla nuova "coppia" formata dalla sua donna e dal bambino che sta crescendo dentro di lei.
L'essere coppia con sua madre permette al bambino di nascere e di iniziare man mano, attraverso questo legame, ad esistere (ex-sistere). Crescere diventa la sua legge di vita: appartenere e separarsi sono il richiamo che trova dentro di sé e che dovrà trovare rispondenza nel suo mondo familiare.

L'istanza di appartenenza e l'istanza di separazione sono le due coordinate entro cui ogni individuo sviluppa sé stesso, realizza, cioè, la propria individualità differenziandosi da quella che Bowen chiama "massa indifferenziata dell'io familiare". In questo lavoro di crescita i due genitori diventano i collaboratori di queste forze propulsive, in una sorta di con-divisione di compiti: scrive E. Gaddini (1985): "mentre la madre resterà sempre la condizione dell'esistere, il ruolo del padre è quello di aiutare ciò che esiste a divenire". In altre parole, se alla madre è affidato il compito di essere custode dell'appartenenza (del legame), spetta al padre sostenere e supportare il processo di separazione.

Il pensiero psicoanalitico vede nel padre colui che porta all'interno della sua casa "la legge", colui che porta il divieto genitoriale nel processo edipico: la legge della proibizione dell'incesto. Che è un modo diverso per dire come è propria del padre la funzione di porsi a supporto dell'istanza di separazione.
Mentre l'esercizio della funzione materna garantisce al neonato, al bambino e all'adolescente la continuità del legame, del processo di appartenenza, l'esercizio della funzione paterna chiede all'uomo di porsi come colui che offre al figlio il supporto necessario nel processo di separazione dalla sua famiglia e di individuazione rispetto alle figure genitoriali. Suo compito è garantire, nello stesso tempo, quel passaggio fondamentale per il processo di crescita, che è il passaggio dal registro del bisogno (che si esprime nella ricerca della soddisfazione immediata dei bisogni stessi) a quello del desiderio (che trova la sua espressione nella domanda dell'incontro con l'altro). E' attraverso la frustrazione del bisogno che può nascere il desiderio: decisiva in questo passaggio è la funzione simbolica del padre in quanto fonte della legge e quindi origine della frustrazione.

Se riportiamo, ora, il discorso sul padre (e/o sulla madre) all'interno del contesto familiare, dobbiamo dire che la legge-del-padre diviene la legge-della-famiglia.
Il padre, come fonte della legge che induce il passaggio dal registro del bisogno a quello del desiderio, è colui che dice ai figli di trovarsi il proprio partner al di là dei confini familiari; ma è anche colui che porta questa stessa legge verso la madre dei figli, cioè verso la "sua" donna.
Potremmo dire, in altre parole, che proprio della funzione paterna, complementare al compito già delineato verso i figli, è, nella relazione con la sua donna, quello di porsi come custode della coppia: di quello spazio, cioè, che appartiene soltanto all'uomo e alla donna di questa famiglia, lo spazio dei coniugi.
Esercitare la "funzione paterna" significa essere impegnato sui due versanti: favorire l'individuazione/separazione dei figli e custodire lo spazio della coppia.

2.
IL PADRE E LA CRISI
La sindrome di Laio

E' ormai pensiero condiviso che una situazione di crisi parla di impasse evolutiva, di momento di difficoltà che una famiglia sta attraversando lungo una delle varie fasi del suo ciclo vitale. Un momento in cui, in genere, l'omeostasi tende a prevalere di fronte alle richieste di cambiamento e di trasformazione.
La devianza sociale o quella più propriamente psichiatrica ci dicono che diversa è solo la direzione che l'espressione del disagio assume, dato che sia l'una che l'altra ci parlano di sofferenza e dolore. Sentimenti questi che appartengono sia all'individuo che esprime e incarna la devianza, sia all'intero nucleo familiare proprio in quanto essi sono l'espressione di un blocco evolutivo, di una impossibilità a procedere, sia individuale che familiare.
Un dato piuttosto costante ci viene offerto dalla clinica: chi per primo coglie un problema, rimanendo poi comunque in prima linea nel gestirlo è, per la maggior parte delle volte, la madre. Se un figlio (o una figlia) non va più bene a scuola, o si chiude in casa e non frequenta gli amici, o entra nel mondo della droga, o ha problemi alimentari, ecc., è la madre che lo coglie per prima ed è lei che continua a reggere la situazione e anche quando sente che non ce la fa più da sola, è lei che decide quando è giunto il momento di chiedere l'intervento dello specialista. E' a lei, in conclusione, che in famiglia viene affidata la gestione del figlio-problema.
Si instaura, cioè, una sorta di "complicità" tra il figlio-problema e la madre; una specie di rapporto privilegiato o di filo diretto dal quale gli altri membri della famiglia - primo fra questi il padre - sono tenuti (e si tengono) o fuori del tutto o comunque in disparte, quasi in religioso rispetto verso questo legame particolare. Chi lavora con i tossicodipendenti, per esempio, sa che nella maggior parte delle volte il padre è l'ultimo ad "accorgersi" del problema, quando ormai la madre non ne può proprio più, magari perfino dopo che ne ha già parlato con qualche tecnico o si è rivolta a qualche gruppo di auto aiuto...
Parallelamente al coinvolgimento materno, dunque, si può cogliere in tutte queste situazioni un estraniamento paterno, quasi un disinvestimento emozionale e di partecipazione. Come se il padre sentisse di dover/voler restare fuori: la cura dei figli, tanto più la cura del figlio "malato" (o deviante) appartiene alla persona che svolge la funzione materna.
Questo legame così privilegiato e intenso tra un figlio e la propria madre cos'altro è se non la concretizzazione dell'incesto? Per di più in una forma/contenuto che riceve tutta l'approvazione sociale: come se, in questo contesto, il rapporto incestuoso venisse a perdere la sua carica negativa di "relazione proibita" conquistandosi la solidarietà e la condivisione verso una relazione di cui si può cogliere solo la dimensione sacrificale di una madre verso il proprio figlio. Si perde di vista, però, la carica distruttiva che porta al sacrificio di un figlio che non può uscire dalla sua funzione di vittima sacrificale sull'altare della legge dell'appartenenza materna.

Se Edipo ha potuto "sposare" sua madre, ciò è potuto avvenire soltanto perché Laio, nell'incontro/scontro con il figlio, si è lasciato uccidere abdicando al suo compito di custode della coppia. Giocasta, lasciata sola, ha saputo offrire solo la legge materna, la legge del legame. Ma questa è la legge che da sola, non bilanciata dalla legge paterna, diventa legge dell'"essere" senza il "divenire", cioè legge di morte. Nessuno può esistere senza divenire.1

E' qui che emerge con forza il richiamo alla funzione del padre: riportare all'interno della casa la legge paterna, la legge della "proibizione dell'incesto". Ciò significa svolgere una duplice funzione:
a) la prima è quella di porsi come marito che va alla ricerca della propria donna, per riprendersela e aiutarla a riprendere il suo posto accanto a lui;
b) la seconda è quella di recuperare il proprio spazio come padre e co-gestore della crisi (e della vita familiare nel suo insieme).
Questo processo soltanto potrà permettere ai due di svolgere la funzione genitoriale, di costruire cioè la legge-della-famiglia, che, come già detto, è proprio quella di garantire a ciascun figlio la possibilità di appartenere e di separarsi, favorendo così la spinta verso l'individuazione.
Il bisogno che queste due istanze fondamentali convivano e interagiscano nell'ambiente familiare è così alto, che possiamo osservare come la crisi stessa si pone proprio come richiamo alla presenza verso i due genitori, come coloro che di queste forze, appunto, sono i depositari e la fonte.
L'adolescente, per crescere, si deve misurare con la legge-del-padre: difendere il proprio letto coniugale significa permettere al figlio di lottare e di imparare che solo "perdendo" nella contesa intrafamiliare può diventare capace di "vincere" nell'altrove, in quello che diventerà lo spazio vitale della ricerca di un altro partner verso cui orientare il proprio desiderio.
Edipo nel suo processo di crescita non può evitare di incontrare il padre sulla sua strada e di misurarsi con lui. Ma la salvezza di Edipo dal letto materno, che da fonte di vita diventerà per lui [e per sua madre] fonte di morte, può avvenire solo se quel letto è difeso e occupato dal suo legittimo proprietario: Laio, suo padre, il marito di sua madre.

Il pensiero sistemico ci permette ancora di parlare tout-court di "complesso edipico" senza coglierlo in un legame di causalità circolare con quella che potremmo chiamare "la sindrome di Laio"? Se nell'incontro con suo figlio, in "quel tale incrocio delle tre strade", il vecchio avesse lasciato che suo figlio se ne potesse andare per la sua strada, che ragioni avrebbe avuto Edipo per abbatterlo?

 

3.
DALLA CLINICA
Roberto e Luciano, due ragazzi "senza" padre

 

La storia di Roberto

 

Siamo nel periodo di Natale di due anni fa. Durante un litigio in famiglia, Roberto minaccia suo padre con un coltello. Questi si spaventa e chiama il 113. Arriva una pattuglia di carabinieri e la cosa si risolve. I carabinieri se ne vanno e in famiglia sembra tornata la pace. In realtà questo episodio evidenzia una grave situazione di disagio che covava da tempo e che dura, con intensità sempre maggiore, ancora oggi.
Arrivano dallo psicologo perché la mamma vuole trovare aiuto per questo figlio.
Roberto è un bel ragazzo, intelligente, alto, capelli neri e lunghi con il codino, orecchino al sopracciglio sinistro e brillantino al naso. Ha 15 anni. Non lavora, non va più a scuola, l'ha smessa a metà del primo anno delle superiori.
In casa c'è anche una sorella, di tre anni più grande. Daniela non dà problemi, almeno per ora, va a scuola e si mostra sempre all'altezza dei suoi compiti. Si preoccupa per il fratello e condivide questa preoccupazione con i genitori; meglio sarebbe dire: con sua madre. Sì, perché il padre fin dall'inizio si dichiara sfiduciato: a suo modo di vedere con Roberto non c'è niente da fare. Segue la moglie nel suo peregrinare alla ricerca di aiuto, ma lo fa trascinandosi e con tutta la sua impotenza di uomo assente.
Agli inizi di luglio dell'anno scorso, sei mesi circa dopo l'episodio del coltello, una mattina alzandosi si accorge che Roberto gli ha sottratto dal portafogli, che la sera prima aveva lasciato sul tavolo della cucina, 150.000 lire. Lui vuole denunciare di nuovo il figlio ai carabinieri, ma la moglie non è d'accordo. Luigi, 45 anni, se ne va di casa, lasciando lì la moglie e i due figli e va a vivere a casa di sua madre. E' sempre più deciso a non tornare: non ce la fa a sostenere la presenza di suo figlio.
Rita, a 42 anni, si ritrova sola con i due figli e sola con sé stessa. E' il momento di realizzare che lei un marito non ce l'ha, in realtà, e che su quest'uomo non ci ha mai investito né per sé, né per i figli.
In questo periodo Daniela non parla mai con suo padre, non ci vuole parlare, nonostante le continue richieste della madre: è arrabbiata con lui perché le ha lasciate sole e perché sente che in questo modo è some se il padre le dicesse che non gliene importa proprio niente della sua famiglia, soprattutto non gliene importa niente di lei.
Luigi viene chiamato spesso dalla moglie, al telefono, qualche volta si incontrano pure, ma lui non torna: sta più tranquillo a casa di sua madre e non ce la fa proprio a pensare di rincontrare suo figlio. Per lui in quella casa non c'è posto.
Dopo quasi tre mesi, manca qualche giorno alla riapertura del nuovo anno scolastico, decide di seguire le insistenze della moglie e rientra a casa.
Roberto nel frattempo aveva consolidato, con la madre, la sua decisione di riprendere la scuola. Inizia a frequentare un Istituto Tecnico in una città diversa da quella in cui vive, ci si fa accompagnare da suo padre; poi, però, dopo una settimana litiga con un educatore del convitto dove risiede e se ne torna a casa.
Un mese dopo inizia un lavoro e dopo quattro giorni lo lascia. Gliene trovano un altro: neanche si presenta il primo giorno: ha sonno, è andato a dormire alle sei del mattino. Esce tutte le notti, se ne sta fuori con gli amici, torna di prima mattina per andare a dormire oppure se ne sta fuori per un paio di notti. Mangia quando vuole, esce e rientra come vuole lui. Fuma, spinella, è informatissimo su quello che succede tra i tossicodipendenti, è nel giro; non si fa, almeno per adesso, ma un modo per avere soldi, dicono i genitori, l'ha sicuramente trovato. Spaccia?
Ora anche Daniela, che fino a un anno fa se ne stava rifugiata nella sua immagine di "brava ragazza", comincia a fare i suoi numeri: esce con gli amici, resta fuori casa tutta la notte fino al mattino, rabbuiata e intristita, stanca di dover sempre essere di soddisfazione, lei che è "più grande" ai genitori che "non riescono a farsi rispettare dal fratello che è più piccolo".
Che sta succedendo in questa famiglia?
La madre continua a chiedere aiuto, fissa gli appuntamenti per una "terapia familiare", ci porta il marito, ma non ce la fa a farlo entrare come padre né a guardarlo come marito.
Il suo uomo non c'è. Lui è tutto preso dal lavoro, si aggiorna, partecipa ai congressi: ci vorrebbe portare anche la moglie, che qualche volta lo segue, ma lei sente che la vuol portare con sé some oggetto di rappresentanza: i suoi occhi non sono per lei. Lei non si sente chiamata da lui. Non che abbia altre donne, è che non è capace di incontrare nessuno.
Neanche suo figlio. Con lui, infatti, scappa, o materialmente, andandosene di casa, o invocando l'intervento "paterno" di un'autorità che lui non può incarnare: i carabinieri diventano il suo io ausiliario, il padre che lui non può realizzare. Quest'uomo è incapace di affrontare il confronto che suo figlio gli chiede.
E Roberto, anche lui, può solo scappare. Sta crescendo e la "legge materna" diventa per lui sempre più soffocante. Non riesce, però, a farne a meno. Entra ed esce: scappa per poi rientrare, per trovare un luogo dove giocare la sua ribellione... Roberto può crescere (divenire) solo andandosene da quella casa. Nello stesso tempo, però, se se ne va sente che non vi può più appartenere; non può appartenere a nessuno in realtà, neanche a sé stesso. Il gruppo deviante potrà diventare la sua nuova famiglia: salvo ad accorgersi, man mano, che deve scappare anche da lì: i suoi amici non sono sempre gli stessi, esce con alcuni, poi con altri. Li accomuna il fatto che tutti stanno scappando dalle loro case. Almeno per ora la strada della devianza sociale gli appare la sua strada.
Lo spazio dei coniugi è uno spazio vuoto. Ci sono solo due adulti che provano a fare i genitori, ma il problema è che dei due, uno, il padre, non sa rivendicare il suo posto, e l'altra, la madre, ha gli occhi rivolti unicamente verso i figli, occupando, in questo, tutto lo spazio dei genitori. Il marito non la chiama a sé e lei non si lascia chiamare.
La legge del padre è impotente, non ha la parola. La sola parola che può essere detta è quella materna. In questa casa si può appartenere, non è permesso separarsi. Ma l'appartenenza, se è condizione fondante per esistere, diventa, da sola, parola di morte. Potersi separare, continuando ad appartenere, permette il divenire che è la sola condizione per continuare ad esistere.
La legge della madre, che resta comunque la condizione dell'esistere, ha bisogno di incontrare la legge del padre che è la sola che permette a chi esiste di divenire.

 

La storia di Luciano

 

Luciano è un ragazzo di 24 anni, è il secondo di quattro figli; è un agente di P.S. e dice che questa sarà la sua professione. Ora ha avuto un figlio con una ragazza di 20 anni: l'ha riconosciuto, ma non riesce a "riconoscere" in lei la sua donna: perché, in realtà, lui non può accettare di legarsi con una donna, pur desiderandolo.
Luciano ha avuto tante ragazze, nella sua vita, di cui ogni volta era "pazzamente innamorato", ma ogni volta, inesorabilmente, la sua storia non poteva durare più di due-tre mesi e andava a finire con feroci liti e gravi atti di maltrattamento: tutte le ragazze venivano, prima o poi, picchiate e lasciate.
Ora il dramma si ripete, ad aggravarlo c'è il bambino. Luciano non riesce a lasciare questa donna, ma non può permettersi neppure di sentirla come la sua donna. Non vivono insieme. L'ha perfino portata, per un po' di tempo, in casa dei suoi genitori, ma l'ha lasciata lì, per una quindicina di giorni, mentre lui se ne andava in cerca di altre storie da costruire e, nuovamente, da distruggere. Quando la vede la insulta, la maltratta, le mette ancora le mani addosso... per poi, di nuovo, ricercarla.
Luciano è un giovane uomo che sa fare solo sfuriate. Forte in lui è la legge del legame (la legge materna) - lui si lega molto intensamente alla ragazza di turno -, poi, però, questo legame diventa soffocante, perché in lui non è bilanciato dalla legge della separazione (la legge paterna).
Il padre di Luciano è un professionista che il suo lavoro ha tenuto sempre fuori casa. Nonostante tutte le sere rientrasse in casa e quindi avesse avuto la possibilità di rendersi presente presso i figli, lui ha delegato tutta la funzione educativa - lo dice espressamente - alla moglie che, pur lavorando fuori casa, tuttavia è stata sempre molto presente nella vita dei figli. E lo è tuttora: è lei, per esempio, che adesso è molto preoccupata per il figlio, ci parla, cerca di aiutarlo in tutti i modi, a differenza del marito che fatica perfino a cogliere la gravità della situazione.
Luciano, nella sua famiglia, ha potuto vivere soltanto la legge del legame, la legge dell'appartenenza: la legge materna. Ma il legame diventa soffocante se non è bilanciato dall'istanza di separazione. Questo lo porta a vivere quasi ossessivamente, in una specie di compulsione a ripetere, il bisogno di legarsi a qualcuno (le sue varie ragazze, per es.), poi, però, non riesce a trovare dentro di sé la forza per continuare, perché non appena un legame si intensifica, diventa per lui soffocante: un legame da cui fuggire se vuol sopravvivere: e la fuga può avvenire solo attraverso la distruzione - e non il superamento - di esso (si consideri la ripetitività delle sfuriate aggressive e violente verso le sue ragazze...).

 

4.
L'INTERVENTO TERAPEUTICO:
alla ricerca del padre

 

La famiglia di Luciano, la famiglia di Roberto sono solo due esempi di quel cliscè di famiglia così diffuso nel nostro contesto culturale in cui non c'è più lo spazio della coppia, né come genitori, né, prima ancora, come coniugi. I due vivono insieme, dormono nella stessa camera, ma è come se un muro, tanto invisibile quanto impenetrabile, si frapponesse tra loro.
Ora, la fatica che questi ragazzi stanno facendo è davvero grande. Il superamento di questa situazione non sarà facile.
Non sappiamo se riuscirà il padre a riportare la "sua" legge, a recuperare il suo spazio, a riprendersi la preoccupazione di un figlio che deve crescere. Se potrà ritrovare la sua donna e aiutarla a condividere con lui la preoccupazione che ora la invade; se potrà riportare il necessario bilanciamento dell'istanza di separazione alla legge del legame che ora, non bilanciata appunto, ha potuto invadere tutta la vita familiare.
Non sappiamo neanche se la madre potrà "restituire" lo spazio paterno senza viverlo come una grave perdita per sé e la propria sopravvivenza come donna e come madre; se potrà ritrovare dentro di sé la possibilità (la voglia, l'energia per) di re-incontrare il suo uomo e lasciare così che suo figlio possa "liberarsi di lei" e continuare il suo processo di individuazione.
Il padre di Roberto, alla moglie che lo chiama - pronta poi a non farsi trovare - dice che ormai loro non sono più due ragazzini, "dopo venti anni di matrimonio tutti fanno così; [...] usciamo con gli amici; da soli che facciamo? io mi annoio, non ci ho niente da dire...". Andrebbe anche bene, se sta bene a loro. Il problema è che non vede che il letto coniugale, che lui lascia libero, è offerto continuamente al figlio che non può che entrarvi e scappare. E' che anche suo padre, nel sua famiglia di origine, non si è mai occupato dei figli: era compito della mamma (quella mamma presso la quale è andato a rifugiarsi quando è scappato da sua moglie e da suo figlio) 2.
Ora Roberto è in una comunità per adolescenti: sta facendo un periodo di messa alla prova su mandato del giudice del Tribunale per i Minorenni. In questo stesso periodo i suoi continuano la Terapia Familiare. Il padre, nell'ultimo incontro, ha parlato della sensazione che Roberto lo stia cercando: quando, un mese fa, è andato a trovarlo, con sua moglie, Roberto gli ha detto "Ma adesso che fate tutte e due da soli?" - l'altra figlia frequenta l'università e dall'ottobre scorso vi si è trasferita -. Raccontando questo, sottolineava con senso di soddisfazione, e di interrogativo, come questa domanda l'aveva fatta proprio a lui. Tra lui e sua moglie c'è ora una sorta di quieto vivere: lui si gira i suoi mille congressi e lei se ne rimane a casa a custodire il giardino. Si guardano e si stanno chiedendo se vale ancora la pena cercarsi. Si sorridono. Rassegnati? La terapia continua: insistono per continuare, consapevoli, adesso, che stanno lavorando "pure per loro" oltre che per ridare a Roberto (e a Daniela) un padre più presente e una madre meno onnicomprensiva.

In queste famiglie per tanto tempo la legge del padre è rimasta fuori della porta. Il lavoro terapeutico dovrà porsi l'obiettivo di ritrovare il padre e fornirgli il supporto per "ri-entrare" nelle dinamiche familiari: la sua presenza diventa garanzia per ri-costruire quei confini generazionali che si sono logorati e vengono, necessariamente, violati.

Il terapeuta chiamato ad intervenire nelle situazioni di crisi, sa che non può fare a meno del padre per ricostruire l'equilibrio frantumato e riattivare il processo fisiologico di crescita di questa famiglia lungo il suo ciclo vitale. Fornire l'aiuto al padre per ritrovare la sua donna e far sì che questa possa ritrovare il suo uomo: questo è il compito del tecnico, perché questo è il punto di disfunzione che la crisi segnala 3.
Il ritrovare la sua storia personale di uomo, allievo in genere di una "scuola", la sua famiglia di origine, che gli ha insegnato che non c'è posto per il padre in casa, diventa strada maestra nel processo terapeutico. Laio, in realtà, ha diritto a tutta la nostra comprensione: suo padre, così ci dicono almeno, morì quando lui aveva solo due anni: chi sa che non abbia imparato da lì che un figlio può solo uccidere il proprio padre o, che è poi la stesa cosa, che a un padre rimane solo di poter morire quando nasce un figlio. I miti ci dicono diversamente, almeno in parte, però credo sia lecito pensare che anche gli uomini di allora, pur non avendo letto Bion, sapevano apprendere dall'esperienza.

L'uomo e la donna che possono permettersi un nuovo incontro ridiventano capaci di porsi come coppia di fronte alla situazione di crisi che la famiglia sta attraversando. La presenza della coppia in quanto tale farà sì che la funzione paterna e la funzione materna possano recuperare la loro relazione dinamica: una rinnovata offerta può arrivare ora alla generazione dei figli, proprio come ripresa della dinamica dell'interazione fra l'istanza di appartenenza e l'istanza di separazione.

Solo una madre orientata verso il compagno può permettere al figlio di "liberarsi di lei", cioè di esistere, nell'accezione etimologica di ex-sistere, essere-fuori. Ma solo un padre orientato verso la sua donna può aiutarla a non sentirsi "abbandonata" dai figli che se ne vanno per la loro strada e a ritrovarsi, viva, in una relazione vitale: quella, appunto, della coppia.
Anche nelle famiglie dove un genitore rimane da solo a prendersi cura dei figli, in caso di separazione, morte o assenza di un coniuge, questi, per vivere il processo di individuazione, hanno bisogno che il genitore, benché solo, nella realtà del quotidiano, sappia curare il proprio orientamento verso l'altro partner come oggetto di desiderio e sappia cogliersi, quindi, in una proiezione di coppia.

 

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1. Allo stesso modo, ovviamente, in cui un eccesso di separazione, istanza propria della funzione paterna, non equilibrato dalla presenza materna come richiamo all'appartenenza porta inevitabilmente verso la disgregazione e quindi verso una crisi con funzioni di richiamo e di ricompattamento.
2. Nel caso di Luciano, poi, a rendere ancora più difficoltosa la situazione c'è un'ulteriore urgenza, data dalla presenza del bambino che ha bisogno, anche lui, di un ambiente vitale per poter crescere: non potrà "aspettare" che suo padre ritrovi il necessario equilibrio nel suo mondo interno; che i suoi nonni ritrovino il loro equilibrio, aiuto indispensabile perché Luciano possa imparare che legarsi non significa morire. Come si fa a chiedere ad un bambino di aspettare i tempi degli adulti?
3. Ritrovarsi non significa necessariamente che i due dovranno continuare a vivere insieme anche se la loro storia è esaurita. Ritrovarsi significa mettersi nella condizione di dirsi il loro progetto, qualunque esso sia, di convivenza o anche di separazione. Il potersi scambiare la parola fa sì che il gioco rimanga tra loro. E' questo che salva il figlio dalla richiesta di assumere il posto del partner.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

1. Bowen M., Dalla famiglia all'individuo, Astrolabio, Roma, 1979
2. Freud S., Totem e Tabù, Opere vol. VII, Boringhieri, Torino, 1975
3. Gaddini E., La formazione del padre nel primo sviluppo infantile (1975), in
    Scritti, Cortina, Milano, 1989
4. Lacan J., Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi,
    in Scritti vol. II, Einaudi, Torino, 1974
5. Mannoni M., Il primo colloquio con lo psicoanalista, Armando, Roma, 1974
6. Sofocle, Edipo Re, in Il Teatro Greco, Sansoni, Firenze, 1980